Conversazione con Carine Bachmann, direttrice dell'Ufficio Federale della Cultura. Quali sono le priorità del Messaggio sulla cultura 2024-2028? Che cos'è la strategia nazionale per il patrimonio culturale e qual è il rapporto tra la direttrice dell'UFC e il panorama museale svizzero? Andrea Kauer Loens, vicepresidente dell'AMS, e Tobia Bezzola, presidente di ICOM Svizzera, hanno incontrato Carine Bachmann a Berna nel luglio 2023, circa un anno e mezzo dopo il suo insediamento alla guida dell'UFC. La conversazione è stata moderata e trascritta da Katharina Flieger.
Katharina Flieger: Signora Bachmann, dopo gli studi di psicologia sociale, cinematografia e diritto internazionale, il percorso che l'ha portata al suo attuale lavoro l'ha condotta attraverso le più diverse esperienze professionali. In che misura tutto questo ha modificato la sua visione del panorama museale svizzero?
Carine Bachmann: Una delle tematiche che ha sempre suscitato il mio interesse è l'interazione tra individuo e società, il modo in cui il discorso sociale plasma l'identità individuale. Il primo settore in cui ho lavorato è stato il cinema. In particolare, collaborando a un festival di cinematografia sperimentale, mi sono occupata tra l'altro di come si ottiene l'effetto di realtà nei documentari.
In seguito, ho lavorato per circa dieci anni nell'ambito della cooperazione allo sviluppo e della prevenzione dei conflitti nel Caucaso e in Asia centrale. Era il momento del crollo dell'Unione Sovietica e dell'emergere di nuovi Stati nazionali, quindi la mia attenzione si è concentrata sulle politiche linguistiche e delle minoranze. In quel tipo di contesto, la domanda fondamentale era: quali politiche può attuare uno Stato per rafforzare il multiculturalismo? E come possiamo fare in modo che la diversità culturale sia un vettore di pacificazione sociale e non di guerre e conflitti? Questo mi preoccupa ancora oggi; infatti, all'UFC lavoriamo proprio su questioni di questo tipo.
Nei dodici anni successivi ho lavorato per la città di Ginevra. In qualità di direttrice del Dipartimento cultura e trasformazione digitale avevo un concreto legame con le istituzioni museali. Come responsabile dei cinque musei municipali, ho avviato un processo partecipativo per consolidare e valorizzare il panorama museale della città. Questo processo ha portato alla creazione della Conferenza dei Musei di Ginevra, con il mandato di elaborare una strategia per la politica museale ginevrina e azioni congiunte. Il mio rapporto con il paesaggio museale, quindi, è passato da una visione teorica a un confronto concreto con aspetti quali le statistiche dei visitatori, la partecipazione culturale o la misura in cui un museo possa provocare o divertire il pubblico – un lavoro incredibilmente appassionante.
KF: Quindi lei è passata da una visione teorica, anche filosofica, del museo a un impegno pratico con le istituzioni cittadine. All'UFC, invece, il contesto è diverso, più distante dalle questioni concrete. Ci descrive brevemente il rapporto tra i musei e l'UFC?
CB: Il lavoro dell'UFC consiste da un lato nel conservare le collezioni federali e renderle oggetto di una comunicazione efficace. Dall'altro, la nostra missione è sostenere finanziariamente i musei di importanza nazionale e le reti del patrimonio culturale. L'UFC è inoltre incaricato di applicare la Legge federale sulla circolazione internazionale dei beni culturali. Questa legge attua la Convenzione UNESCO del 1970: regola l'importazione di beni culturali in Svizzera, la loro esportazione e il rimpatrio dalla Svizzera oltre a contenere le misure contro il trasferimento illegale di proprietà. In questo modo, la Confederazione intende contribuire alla conservazione del patrimonio culturale dell'umanità e prevenire il furto, il saccheggio, l'importazione e l'esportazione illegale di beni culturali. La nostra attività si svolge nell'ambito intergovernativo, sia per quanto riguarda la conclusione di accordi bilaterali sul trasferimento di beni culturali, sia per la restituzione di beni culturali confiscati in Svizzera a seguito di procedimenti penali.
Tobia Bezzola: Come avviene concretamente la comunicazione a diversi livelli tra governo federale, cantoni e comuni?
CB: Dal 2011 abbiamo adottato un formato istituzionalizzato per questo: il dialogo culturale nazionale. In pratica, l'associazione dei comuni e quella delle città, i cantoni e il governo federale si incontrano regolarmente a livello tecnico e politico non per prendere decisioni vincolanti, ma per discutere, scambiarsi buone pratiche e formulare raccomandazioni. Ad esempio, un gruppo di lavoro è attualmente impegnato nella formulazione di una strategia nazionale globale per la conservazione, lo sviluppo e la comunicazione del nostro patrimonio culturale. Questo lavoro è stato avviato in seguito a una mozione della WBK (Commissione della scienza, dell'educazione e della cultura) del Consiglio degli Stati. Si tratta di un compito complesso e difficile, ma anche estremamente interessante. Mi sembra sensato che ogni generazione si chieda che tipo di oggetti dovremmo e vorremmo collezionare in Svizzera, e quali sono le sfide da affrontare nella gestione del nostro patrimonio culturale. La strategia – la cui attuazione richiederà un ampio sostegno da parte degli interessati e solleverà problemi di risorse – dovrebbe essere pronta nel 2024.
Andrea Kauer: Questa strategia nazionale, cui anche il messaggio sulla cultura fa riferimento più volte, è molto attesa negli ambienti museali. A essa si aggiungono le mozioni per la creazione di una piattaforma utile alla ricerca sulla provenienza (mozione WBK-S) e di una commissione che si occupi di questioni relative alla provenienza e alla restituzione (mozione Pult). Ci sono novità sullo stato di queste proposte di legge, così importanti per il mondo museale?
CB: In questo momento stiamo lavorando alla creazione della piattaforma per la ricerca sulla provenienza. Anzitutto dobbiamo creare la base giuridica necessaria attraverso un'integrazione alla legge sulla circolazione dei beni culturali, che ci consentirà di sostenere il progetto. L'idea non è che la Confederazione gestisca direttamente questa piattaforma, ma di coinvolgere dei soggetti esterni.
La seconda mozione incarica il Consiglio federale di creare una commissione di esperti in materia di arte rubata dai nazisti e di chiarire se debbano essere presi in considerazione anche oggetti culturali provenienti da altri contesti, come quelli coloniali. Anche in questo caso siamo sulla buona strada e speriamo che la commissione possa iniziare a lavorare al più presto. La maggior parte dei Paesi limitrofi dispone già di commissioni analoghe con cui siamo in ottimi rapporti, tanto che ci siamo confrontati coi rispettivi responsabili sui vantaggi e svantaggi dei punti più importanti. Una cosa è chiara: la commissione avrà il compito di formulare raccomandazioni non vincolanti, che tuttavia non riguarderanno solo l'eventuale restituzione. La restituzione è una delle tante opzioni nella ricerca di soluzioni giuste ed eque. Esiste anche la possibilità di prestiti – temporanei o permanenti – o della produzione di repliche degli oggetti, che verranno poi esposte nel Paese d'origine e in Svizzera. Inoltre, si raccomanda ai musei di documentare meglio la provenienza del bene culturale di turno, rendendola accessibile al pubblico.
Proprio in questo momento siamo al lavoro per chiarire le questioni ancora aperte. Una delle domande è: questa commissione dovrebbe occuparsi anche degli oggetti culturali provenienti da contesti coloniali? (Come sapete, si tratta di contesti diversi). In caso affermativo, cosa comporterebbe questo per la composizione e il funzionamento della commissione? La domanda successiva riguarda i requisiti di ingresso: la ricerca sulla provenienza deve essere già stata effettuata? Deve esserci già stato un tentativo di conciliazione tra il museo, la proprietà e il richiedente? Credo che tutti siano consapevoli che questa commissione è uno strumento utile a risolvere quei casi che non possono essere composti in altro modo. Quando la soluzione non si trova, credo sia opportuno che una commissione di esperti, di cui non fanno parte né i proprietari né i richiedenti, possa indagare sulla controversia e formulare un parere.
AK: Dal punto di vista dei musei e dell'AMS, è estremamente positivo che il governo federale stia portando avanti la questione della ricerca sulla provenienza a diversi livelli. Mentre il settore delle opere saccheggiate dai nazisti interessa soprattutto i musei d'arte, il campo si allarga quando si considerano gli oggetti dell'archeologia classica o quelli con un passato coloniale, ad esempio. Si tratta di problemi che riguardano numerosi piccoli musei e c'è ancora molto lavoro da fare. Questo ci porta alla prossima sfera d'azione, ossia le condizioni di lavoro nel settore culturale e il miglioramento della sicurezza sociale. I piccoli musei di cui sopra, che sono già mal finanziati e gestiscono la loro vita quotidiana solo grazie al lavoro dei volontari e a una grande dedizione individuale, devono prima di tutto essere messi in condizione di condurre ricerche sulla provenienza.
CB: Sì, questo è un tema che mi sta molto a cuore. La ricerca sulla provenienza rientra tra i compiti dei musei e negli ultimi tempi molte grandi istituzioni museali svizzere hanno professionalizzato e ampliato questo settore. Alcuni musei di piccole e medie dimensioni, tuttavia, che non hanno le risorse finanziarie e umane per affrontare questo importante compito, avranno bisogno di un sostegno adeguato alle loro esigenze nei prossimi anni. La collaborazione con l'AMS e altre associazioni è fondamentale per lo sviluppo delle basi e degli strumenti necessari.
TB: Le associazioni possono sostenere questo processo occupandosi della formazione, non in senso accademico, ma come formazione continua. C'è bisogno di agire in questo senso.
CB: Sono del tutto d'accordo. Per il periodo che va dal 2016 al 2024, la ricerca sulla provenienza ha ricevuto finanziamenti per 5,7 milioni di franchi. Nel nuovo Messaggio sulla cultura abbiamo stanziato più fondi che possono essere impiegati in modo relativamente flessibile.
La ricerca sulla provenienza è un arricchimento per i musei: contribuisce a mantenere vivo il patrimonio culturale attraverso una discussione rilevante per il presente. Essa consente di raccontare al pubblico la storia di un bene culturale da diverse prospettive. Nel farlo, è importante anche confrontarsi con un passato storicamente pesante.
TB: Se dovesse spiegare brevemente a qualcuno perché è necessario un nuovo messaggio sulla cultura e cosa c'è di nuovo in esso, che cosa direbbe?
CB: L'obiettivo fondamentale è che in Svizzera la cultura venga riconosciuta come un valore a sé stante e il settore culturale venga rafforzato. La cultura è ancora vista da molti come un «affare secondario», qualcosa che è «carino avere»: finché le cose vanno bene, ce la si può permettere, altrimenti no. Invece noi vogliamo e dobbiamo rafforzare il settore culturale. Durante la pandemia, la consapevolezza dell'importanza sociale della cultura è aumentata; questa è un'opportunità. Allo stesso tempo, la pandemia ha evidenziato le debolezze sistemiche del settore: le precarie condizioni di lavoro degli operatori culturali, ad esempio, non sono una novità, ma dopo l'emergenza Covid sono state documentate nero su bianco. Anche alcune tendenze, come il consumo di contenuti digitali, hanno subito un'accelerazione esponenziale a causa della pandemia. Per questo motivo, al momento di redigere il Messaggio sulla cultura, abbiamo deciso di fare il punto sulle sfide davanti alle quali ci troviamo in Svizzera, coinvolgendo le organizzazioni culturali e le controparti statali. Si tratta di un nuovo modo di procedere. In seguito a una serie di indagini conoscitive, e nel quadro di una prospettiva nazionale, sono stati definiti sei campi d'azione. Anche questa è una novità.
L'ambizione del Messaggio sulla cultura 2025-2028 è di affrontare le problematiche individuate operando in modo mirato e pragmatico, naturalmente nell'ottica del nostro sistema federalista. Per la Confederazione, ciò significa agire principalmente in modo sussidiario e concentrarsi su progetti che interessano l'intera Svizzera. Per noi, politica culturale e politica sociale coincidono. Siamo un Paese multiculturale e multilingue, con una tradizione profondamente radicata di partecipazione politica e sociale. La nostra risorsa più importante sono le persone... Per questo la politica culturale della Confederazione continua a perseguire tre obiettivi che hanno un impatto a lungo termine: promuovere la coesione sociale, la partecipazione culturale e la creazione e l'innovazione.
KF: Signor Bezzola e signora Kauer, come valutate dal vostro punto di vista l'effetto di questo Messaggio sulle altre entità investite del potere decisionale e sui diversi livelli della politica culturale?
TB: L'importanza, esplicitamente sottolineata, della ricerca sulla provenienza è molto importante. Spesso, infatti, i proprietari delle opere non sono i musei, ma i cantoni o le città. In futuro, nessun consiglio comunale o governo cantonale potrà dire che la questione della provenienza non li riguarda, che non vogliono discuterne. Anche se non è una legge costituzionale, a livello comunale e cantonale si prenderà in considerazione il parere del governo federale al riguardo.
AK: Inoltre, il Messaggio sulla cultura è un segnale per le fondazioni e non da ultimo per il posizionamento delle istituzioni, poiché stabilisce le priorità e indica un orientamento, il che si ripercuote a tutti i livelli.
CB: La maggior parte delle problematiche riguarda tutti e tre i livelli dello Stato. La cooperazione e, ove opportuno, il coordinamento delle misure costituiscono il prerequisito di una politica culturale coerente ed efficiente nel nostro Paese. Dobbiamo unire le forze!
Le nostre risorse finanziarie sono limitate. Un punto delicato è quello del sostegno alle reti. La tipologia delle realtà finanziate è relativamente eterogenea e i contributi di cui beneficiano sono assai diversi. Inoltre, in questo settore abbiamo nuovi compiti, ma non maggiori risorse. Dobbiamo rivedere concettualmente tutto questo ambito sulla base della strategia nazionale per il patrimonio culturale. L'idea non è quella di tagliare i fondi: tutte le organizzazioni, infatti, svolgono un lavoro prezioso. Idealmente, non vogliamo dividere la stessa torta con più parti, ma ingrandire la torta. Nei prossimi anni, la riprogettazione del sostegno alle reti di terzi sarà certamente un tema importante. Affronteremo con la massima attenzione i prossimi dibattiti in proposito e coinvolgeremo le parti interessate.
TB: A volte, non vorrebbe che il governo avesse una rete di musei federali simile a quelle della Francia o della Spagna dove vige un coordinamento globale delle politiche? La mancanza di reti ampie e nazionali comporta un deficit di indirizzo per la politica culturale nel suo complesso?
CB: Per me la questione non si pone. Il federalismo e la distribuzione delle competenze che ne consegue hanno molti vantaggi, anche in termini di politica culturale. In Svizzera, la cultura è una questione che riguarda tutti e non solo un'élite. La domanda è: come possiamo sostenere il settore culturale con la nostra ripartizione federalista delle competenze e quale può e deve essere il contributo della Confederazione nell'interesse di tutta la Svizzera? Questo non ha nulla a che fare con il centralismo. Vedo nell'Ufficio federale della cultura un ente che facilita, coordina e talvolta prende l'iniziativa. Prendiamo la trasformazione digitale, ad esempio. Non è particolarmente efficiente che ogni museo costruisca il proprio archivio digitale a lungo termine. Probabilmente avrebbe più senso sedersi a un tavolo e riflettere su come affrontare insieme un'esigenza comune, che è costosa e richiede molte risorse. A mio avviso, facilitare e coordinare tali discussioni può rientrare nei mandati della Federazione.
Autrice: Katharina Flieger