Rivista svizzera dei musei

Rivista svizzera dei musei 20

Il 20° numero dello Rivista svizzera dei musei ripercorre il congresso annuale di quest'anno, incentrato sul ruolo dei visitatori nel plasmare le istituzioni con il titolo «Partecipazione e coinvolgimento - i musei in cambiamento». Un articolo sul progetto «Wunsch(T)räume» dei musei cantonali di Lucerna approfondisce l'argomento. Inoltre, una serie di foto da Thun, un rapporto sulla situazione dei musei in Ucraina e un articolo sull'attuazione della Convenzione di Faro in Svizzera.

Rivista svizzera dei musei 20

A proposito

La Rivista svizzera de imusei è la rivista dei membri dell'AMS e di ICOM Svizzera. Fornisce informazioni sulle attività delle associazioni e sull'attuale politica culturale, presenta una selezione di opere specialistiche e offre uno sguardo dietro le quinte dei musei svizzeri attraverso una serie di fotografie. La rivista viene pubblicata due volte l'anno in edizione multilingue. Le traduzioni dei principali articoli sono disponibili su museums.ch.

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Traduzioni

Partecipazione e coinvolgimento: come cambiano i musei

Resoconto del Congresso annuale dei musei svizzeri 2022 1 e 2 settembre 2022 – Espace Gruyère, Bulle

Per una fortunata coincidenza, il congresso annuale dedicato alla partecipazione e al coinvolgimento del pubblico si è aperto pochi giorni dopo l’adozione della nuova definizione di museo, votata il 24 agosto scorso a Praga nel corso della XXVI Conferenza Generale dell’ICOM Internazionale. «Accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità», operano «con la partecipazione delle comunità» e sono luoghi imprescindibili della partecipazione culturale. Un cambiamento di prospettiva è d’obbligo, come dimostra l’esperienza che deriva dalla conservazione del patrimonio. L’aumento delle iniziative partecipative e inclusive conferma ciò che molti musei stanno già facendo: mettere il pubblico al centro delle loro riflessioni.

La partecipazione culturale, una sfida recente

In quanto elemento fondamentale in cui convergono la conservazione del patrimonio e le attività umane, il museo è un punto di riferimento riconosciuto per l’educazione e la condivisione. Tuttavia, soltanto dal 2016 la pratica partecipativa è emersa come asse strategico della politica culturale svizzera, incoraggiando il confronto e offrendo spunti per una migliore convivenza in una collettività sempre più diversificata. Al servizio di una società che ne riconosceva il ruolo autorevole, fino a poco tempo fa il museo era considerato l’unico attore in grado di trasmettere un messaggio degno di considerazione. Oggi il coinvolgimento del pubblico va messo al primo posto.

Che cosa è cambiato?

La rivoluzione indotta dalle iniziative partecipative consiste in un movimento decisamente orientato verso l’esterno: il museo si rivolge a un pubblico che non è necessariamente il suo. Attingendo alle proprie collezioni e specificità e forte di questo bagaglio, il museo si muove simbolicamente, o addirittura fisicamente, verso gli altri. Si assume dei rischi e si avventura volontariamente in percorsi sui quali accetta di non avere un controllo completo. Dal museo enciclopedico – intimidatorio tempio del sapere le cui venerabili scale venivano salite da visitatori che bisognava educare e far crescere – ci si muove ora nella direzione opposta, per cercare di rispondere alle domande che ogni istituzione museale si pone: come possiamo attrarre persone che qui non hanno mai messo piede? Come riusciamo a creare un senso di connessione? Se la partecipazione sarà affiancata ad altre funzioni del museo – il piacere, il relax, la scoperta – si dimostrerà il proposito di convincere i visitatori che potranno trovare qualcosa di coinvolgente in ciò che il museo ha da offrire.

Il modello dei musei scientifici

Il coinvolgimento del pubblico nei progetti scientifici ha una tradizione ben più lunga. Le scienze naturali hanno il vantaggio di creare un legame quasi primordiale con noi – connesse come sono al mondo che ci circonda. Il primo museo che visitiamo da bambini è di solito quello di scienze naturali. Avendo una maggiore esperienza nel campo della partecipazione, la competenza delle istituzioni scientifiche può offrire una lezione utile. Nei musei di scienze naturali infatti è pratica comune affidarsi al contributo di persone illuminate e appassionate anche se non professioniste. Per superare le difficoltà di raccogliere una grande quantità di dati, le istituzioni scientifiche fanno appello al pubblico affinché partecipi ai sondaggi e alle osservazioni dirette. Questa collaborazione dà i suoi frutti e permette di compiere studi che gli accademici non potrebbero mai realizzare da soli. I musei scientifici non si fanno problemi a chiedere in modo disinvolto l’aiuto della popolazione, che in tal modo si sente apprezzata e motivata. Poiché il servizio fornito dal pubblico è oggettivo e quantificabile, sembra del tutto naturale ricorrere a un approccio partecipativo. I progetti di citizen science si muovono in questa direzione e fungono da veri e propri incubatori del cambiamento di approccio dei musei. Le chiavi del successo di queste operazioni si adattano a qualsiasi tipo di istituzione e consistono nel condividere un progetto e le sue sfide, nell’essere trasparenti sui risultati attesi e nel fornire feedback e ringraziamenti al pubblico.

Ripensare la gestione dei musei, immaginare nuovi profili professionali

La partecipazione non ha come unico effetto l’apertura del museo al mondo esterno. Ha anche un forte impatto sulle procedure interne dell’istituzione. Muoversi senza nette pareti divisorie risulta impegnativo e non tutti i progetti hanno successo. L’elevato impegno di tempo evidenziato nei casi discussi ci spinge a porci alcune domande importanti: perché perseguire iniziative partecipative, in che modo e a quale scopo? Gli esempi mostrano l’utilità dei test preliminari e anche la semplicità dei sistemi da implementare. Dobbiamo riconoscere che scopriamo sempre un nuovo aspetto del nostro museo: partecipare è un modo per conoscere meglio noi stessi... sia come individui sia come istituzioni museali! Le pratiche partecipative richiedono un notevole investimento di tempo e sottolineano i limiti del personale del museo. Hanno l’effetto di rivelare l’obsolescenza di strutture gerarchiche rigide, poco disponibili a mettere in discussione i propri metodi operativi. In termini di gestione, le direzioni sono chiamate a passare da una struttura gerarchica verticale a una gestione più trasversale che tenga conto delle opinioni di tutti. Un museo non può più pretendere di trasmettere un sapere che lui solo possiede, e allo stesso modo il suo buon funzionamento deve tener conto del feedback delle persone che vi lavorano. Tenere in considerazione l’opinione del pubblico presuppone che si faccia lo stesso con il parere dei colleghi, anche se ciò significherà prendere decisioni difficili e assumersi la responsabilità delle scelte fatte. La partecipazione richiede agilità, lungimiranza e molta curiosità verso gli altri. Questi sono i punti di forza specifici dei nuovi profili professionali, che riescono a immaginare utili estensioni dei dipartimenti tradizionali. In questo senso le giovani generazioni e le loro competenze di nativi digitali saranno preziosi. Lo stesso vale per le professioni la cui competenza in materia tecnologica, legale o etica fornirà un quadro utile per gli interrogativi sociali affrontati senza mezzi termini durante i processi partecipativi. Se un museo vuole trasformarsi in un luogo di scambio, in un palcoscenico sociale in cui le persone si incontrano, dovrà far sì che questa stessa diversità si rifletta anche all’interno dei suoi team. Queste competenze trasversali devono essere incoraggiate anche nella formazione museale.

Quali sono le ripercussioni sul funzionamento dei musei?

Lasciare intravedere la possibilità di una trasformazione – che è il preludio di qualsiasi cambiamento sociale – si profila come la carta vincente della partecipazione. Gli esempi presentati al congresso dimostrano quanto l’onestà dell’approccio ne garantisca il successo. Le persone percepiscono immediatamente questa franchezza e mostrano di apprezzarla accettando di partecipare all’avventura. Ricordare sempre – come fosse un mantra – che «i musei sembrano riguardare gli oggetti, ma in realtà riguardano le persone» apre la strada alla collaborazione e alla condivisione reciproca. L’immagine spesso ancora noiosa o elitaria del museo può quindi essere spazzata via grazie a questa nuova mentalità.

Autore : Fabienne Aellen

Dal dovere al volere

L’Historisches Museum e il Natur-Museum di Lucerna sono in fase di accorpamento per formare un nuovo museo cantonale. Motore di questa trasformazione è il progetto partecipativo «Wunsch(T)räume», in cui il pubblico vecchio e nuovo conta allo stesso modo del personale del museo.

All’inizio di quest’anno il Museo storico e il Museo della natura di Lucerna hanno invitato i visitatori e le visitatrici a raccontare qualcosa di sé. Con l’iniziativa, intitolata «Du bist, willst und magst!» («Tu sei, vuoi, puoi! »), i due musei intendevano conoscere meglio il loro pubblico; una cosa è emersa con grande chiarezza: nel futuro allestimento, i bambini del cantone vogliono vedere i dinosauri. Almut Grüner, direttrice dei due musei, sorride mentre lo racconta, e alza le spalle perché nelle sue collezioni non c’è proprio modo di trovare un dinosauro: «Ma forse non ce n’è nemmeno bisogno. Forse può essere un punto di partenza per collegare i nostri reperti di mammut ai dinosauri e al canton Lucerna»

Almut Grüner guiderà i due musei verso un comune futuro programmatico. In questo caso, il futuro è «un nuovo museo interdisciplinare in cui i temi della natura e la storia del Canton Lucerna sono strettamente intrecciati». All’origine dell’accorpamento, nel 2008, c’era la richiesta del cantone di risparmiare. La fusione operativa è stata avviata da Christoph Lichtin, allora direttore del Museo storico e responsabile dei Musei cantonali di Lucerna, che entro il 2019 ha unificato i dipartimenti marketing e comunicazione, contabilità e tecnica dei due istituti. A partire dal 2020, Almut Grüner e i suoi collaboratori hanno costituito in tutto quattro dipartimenti, che operano trasversalmente nei due musei; sulla fusione legale nel «Luzerner Museum für Natur, Geschichte und Gesellschaft» («Museo della natura, della storia e della società di Lucerna») ha deliberato il consiglio cantonale nel giugno scorso: entro il 2030, in una sede ancora da definire, sorgerà un grande museo moderno con un valore aggiunto per la popolazione. Con la prevista modifica della Legge sulla promozione della cultura, che avrà luogo alla fine del 2022, la fusione sarà operativa anche dal punto di vista formale.

Raccogliere e prendere sul serio i desideri

Ma quali storie dovrà raccontare il nuovo museo della città e della campagna di Lucerna? E cos’altra dovrà saper fare? «Il nuovo museo dovrà in primo luogo divertire», dice Grüner, che svolgendo la sua attività professionale in Inghilterra ha visto la felicità dei visitatori e delle visitatrici dei musei. Nel dibattito su un lavoro di comunicazione ed educazione al passo con i tempi, l’Inghilterra ha molti spunti da offrire. Così, per elaborare una base di «Felicità e divertimento», Grüner ha varato il progetto di partecipazione «Wunsch(T)räume» («Sogni/Spazi del desiderio») e introdotto la figura professionale dell’esperto in partecipazione. A impostare, seguire, consolidare e valutare il progetto è stata chiamata Agnieszka Christen.

Spiega Christen: «All’interno, ‹Wunsch(T)räume› dà il via al cambiamento strategico e all’intensificazione del lavoro partecipativo; all’esterno, dà alla popolazione la possibilità di collaborare alla progettazione del nuovo museo, prendendo parte a laboratori, sondaggi e formati sperimentali». «Wunsch(T)räume» è finanziato per un triennio con sovvenzioni della Stiftung für Kunst, Kultur und Geschichte SKKG di Winterthur, con fondi del proprio bilancio e con donazioni delle associazioni degli amici dei due musei.

Un incrocio tra Lenzburg e l’Inghilterra

La stessa funzione ricoperta da Christen è espressione di un atteggiamento e di un segnale, e cioè «che la partecipazione non è qualcosa che un’organizzazione fa ‹in più› rispetto alle attività quotidiane»: piuttosto, spiega Grüner, si tratta di fare in modo diverso ciò che si è fatto finora. «Io intendo la partecipazione come un metodo», potremmo paragonarla a una cultura, o a una prassi che si applica a tutte le attività di una organizzazione – un po’ come altri temi all’ordine del giorno, quali la sostenibilità o la diversità. A tale proposito, Grüner ha in mente non tanto un modello unico, quanto un mix «tra lo Stapferhaus di Lenzburg, il museo nazionale dei bambini Eureka! di Halifax e il Leeds City Museum». Un esperimento, dunque: e perché no? Se lo possono permettere, visto che i due musei sono tra i più frequentati della città di Lucerna.

L’obiettivo di «Wunsch(T)räume» è «accompagnare la popolazione a scoprire di più sul nostro pubblico e non pubblico, a sperimentare formati e stringere contatti», continua Christen, che con un approccio sistematico e deciso si apre a settori del pubblico finora poco rappresentati, come le persone anziane, con il formato del caffè narrativo, o i giovani, con il formato di una «mostra dei giovani per i giovani». «L’inaugurazione di questa mostra interattiva è tra poche ore, e le sale hanno ancora un’aria paurosamente incompleta», dice. E improvvisamente si ha un’idea molto concreta di quanto deve essere arduo, per un professionista dei musei, in una situazione partecipativa come questa cedere le proprie competenze, mettere da parte decenni di esperienza e conoscenze per affidarsi a qualcun altro.

La formula della partecipazione: all’altezza degli occhi

Come immaginano la partecipazione Christen e Grüner? Entrambe concordano che l’espressione migliore della loro visione sia «All’altezza degli occhi», e ritengono che molti musei falliscono proprio su questo punto: «Perché all’altezza degli occhi significa dare spazio all’altro con le sue idee, occuparsi di lui e dei suoi interessi. A volte questo porta a soluzioni che noi non avremmo scelto, o che avremmo realizzato diversamente». Così i giovani hanno scelto un tema di cui la curatrice non aveva nemmeno idea che facesse parte della loro vita: il sogno lucido. Ancora, nei suoi laboratori Christen ha scoperto che i visitatori e le visitatrici desidererebbero formati in cui, da un lato, ascoltare di più e, dall’altro, potersi esprimere di più, ad esempio come testimoni, con una propria storia.

L’esempio dei giovani che sono diventati dei mediatori dimostra che la partecipazione crea un valore aggiunto tanto individuale quanto sociale, perché si sono aperti degli spazi sociali nuovi. Ma quali ripercussioni ha la nuova impostazione del lavoro museale all’interno, vale a dire sull’immagine di sé e sulla definizione dei compiti classici del personale? Grüner sospira: «Ciò che da fuori può non sembrare tanto rivoluzionario, all’interno, sul piano organizzativo, porta un certo scompiglio. Con il passaggio alla modalità partecipativa, molti collaboratori si sentono criticati nella propria attività, hanno paura che la loro professionalità vada perduta». E qui «Wunsch(T)räume» diventa letteralmente uno spazio in cui sviluppare e praticare una concezione nuova: Christen e Grüner sognano un gruppo di inclusione in cui, in futuro, da tre a quattro collaboratori elaborano, realizzano e valutano insieme, nella maniera più naturale, formati partecipativi. E nel migliore dei casi, questo diventerà il modo normale per organizzare una mostra.

Autore : Katharina Nill

Ereditarela cultura

La Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, ratificata dalla Svizzera nel 2019, offre un nuovo quadro di riferimento per la politica e le istituzioni culturali: al centro stanno le persone e le loro iniziative.

Nell’ambito del patrimonio culturale, qualcosa si muove in Svizzera. In Ticino, ad esempio, con il progetto «Pagliarte» in Valle Onsernone, che rafforza la produzione di cannucce di paglia con l’obiettivo di far conoscere pratiche tradizionali e contribuire alla sostenibilità ecologica. O con la campagna «Apprendisti Ciceroni» della fondazione FAI SWISS, che ha trasformato i giovani in ambasciatori e ambasciatrici del patrimonio culturale. Guidati da professionisti, i ragazzi e le ragazze si sono avvicinati all’arte e alla natura del loro ambiente, hanno studiato oggetti e luoghi scelti da loro, come il Castello di Montebello a Bellinzona, e li hanno illustrati a compagni e compagne di scuola, genitori e altri adulti con audioguide o mostre. Ancora, il progetto digitale «When We Disappear», un gioco dello Studio Inlusio Interactive realizzato con la collaborazione di storici e storiche, racconta una storia interattiva su patrimonio culturale e luoghi di memoria, favorendo una cultura della memoria al passo con i tempi per scolari e scolare. Il gioco presenta la vicenda di una ragazza in fuga per l’Europa durante la seconda guerra mondiale, con una cornice narrativa che istituisce i collegamenti con il presente.

Che cosa hanno in comune questi progetti? Sono tutte iniziative della società civile, che si propongono di ripensare il patrimonio culturale nel suo significato per le persone di oggi, rispondendo ai valori essenziali della Convenzione di Faro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società. La Convenzione, firmata nel 2005 nella città portoghese di Faro, sottolinea il valore sociale e unificante dell’eredità culturale e la sua importanza per uno sviluppo sostenibile della società, dell’economia e dell’ambiente. «La Convenzione di Faro parte da un concetto di cultura ampio, dinamico e partecipativo», spiega Nina Mekacher, responsabile supplente della sezione Patrimonio culturale e monumenti storici dell’Ufficio federale della cultura (UFC), competente per l’attuazione in Svizzera della Convenzione. «Riguarda la domanda perché e per chi si debba curare il patrimonio culturale europeo, ponendo al centro il suo significato per la società di oggi». In tal modo tutte le pratiche e gli oggetti che hanno un valore per le persone nella loro vita quotidiana diventano importanti, e ciò richiede una politica del patrimonio culturale che si adatti costantemente alle nuove condizioni. Poiché Faro insiste sulla partecipazione di tutti al patrimonio culturale, oltre che sulla sua importanza per una società sostenibile, varia e democratica, la Convenzione si inserisce perfettamente nella nuova definizione di museo dell’ICOM, il Consiglio internazionale dei musei.

Faro nel contesto europeo

La Convenzione di Faro lascia ampia libertà di attuazione, come testimoniano le scelte della Svizzera e dei Paesi Bassi. Questi ultimi, ad esempio, non hanno ratificato la Convenzione, ma nel 2019 hanno avviato un percorso per chiarire come attuarla. Per cominciare, è stato fatto il punto sull’esistente. Sono state raccolte in un sito internet le iniziative concrete che rispondono ai principi di Faro, mettendo così in contatto tra loro molti soggetti. Una di queste iniziative è l’HomeComputerMuseum di Helmond. I computer esposti, tutti utilizzabili, vengono mantenuti da persone che non sono inserite nel mondo del lavoro; gli esemplari che non trovano posto nella collezione vengono riparati e venduti a prezzi contenuti a persone a basso reddito. Secondo Michaela Hanssen, direttrice del programma Faro presso il Ministero della cultura dei Paesi Bassi, questo progetto esprime i valori della Convenzione: «L’HomeComputerMuseum è un’iniziativa privata basata sulla partecipazione di cittadini e cittadine, che apporta un contributo prezioso alla società e mette in contatto tra loro diversi gruppi, come i collaboratori del museo, con le loro vite spesso difficili, gli/le abitanti della città, famiglie economicamente svantaggiate o i/le turisti/e che vengono apposta a Helmond. In più, il museo fa conoscere un nuovo oggetto come parte del patrimonio culturale: l’home computer, per l’appunto».

Il programma Faro dei Paesi Bassi si conclude quest’autunno con un’agenda concreta, che raccomanda la ratifica e propone misure di attuazione della Convenzione. Per definire tale agenda, Michaela Hanssen e la sua équipe hanno avviato un processo partecipativo: «Abbiamo attivato una piattaforma digitale dove tutti possono dire la loro e dare suggerimenti: sia le istituzioni e i gruppi impegnati nel processo, sia il pubblico in générale ». Si propone, ad esempio, una partecipazione democratica diretta della popolazione alle decisioni riguardanti il patrimonio culturale. Si dovrebbero inoltre abbattere le barriere burocratiche nel finanziamento della cultura, perché solo così tutte le iniziative dei cittadini e delle cittadine avranno una reale possibilità di ricevere i fondi necessari.

Faro in Svizzera

Dopo la ratifica, la Svizzera passa ora all’attuazione. L’UFC intende Faro come un quadro di riferimento generale per una politica del patrimonio culturale in linea con i principi della democrazia diretta: «La Convenzione vuole dare a tutti, individui o gruppi, l’opportunità di definire e curare il proprio patrimonio culturale», spiega Nina Mekacher. «In Svizzera questa interpretazione dinamica e improntata alla democrazia di base può dare voce a grandi potenzialità, e permettere ad ampie categorie di scoprire il patrimonio culturale ». A tale riguardo l’UFC conta su un’attuazione integrata nella politica culturale della Confederazione e dei Cantoni: «Ciò significa che i principi della Convenzione – come l’incoraggiamento della partecipazione culturale, il riconoscimento della molteplicità culturale e delle minoranze culturali e l’uso sostenibile del patrimonio culturale – vengono integrati direttamente nelle strategie e nelle misure, quali il Messaggio sulla cultura 2020 – 2024, la Strategia sulla cultura della costruzione o il finanziamento di progetti da parte dell’UFC», continua Nina Mekacher. Questo significa che non vengono attuate specifiche campagne di sensibilizzazione, il che rappresenta anche una sfida per il trasferimento di conoscenze dalla politica alle istituzioni e ai gruppi della società civile.

Che cosa significa in concreto tutto ciò per un piccolo museo svizzero? Esempi si trovano tra i diciannove progetti vincitori del concorso «Patrimonio per tutti», con il quale già nel 2018 la Confederazione ha lanciato una prima campagna sui principi di Faro. Oltre alle iniziative ricordate sopra, tra i progetti sostenuti figurava il progetto «Mein Ding» al Museo del Castello di Burgdorf: qui, durante i lavori di ristrutturazione, sono stati raccolti nuovi oggetti con la partecipazione attiva della popolazione. Trentacinque degli oggetti così trovati, tra cui un walkman con audiocassette autoprodotte e vecchi telefoni cellulari, sono stati esposti nel foyer del castello fino alla fine del 2020. Oggetti d’uso quotidiano con un valore personale e sociale al museo: Faro offre alle istituzioni museali l’opportunità di diventare più partecipative e di riflettere le relazioni tra le persone e la cultura locale e quotidiana. Il percorso non è privo di difficoltà: «Un processo di questo genere richiede al conservatore e alla conservatrice del museo elevate competenze sociali, una nuova concezione dei ruoli e una notevole disponibilità al rischio», osserva Nina Mekacher. Si potrebbe aggiungere: lo stesso vale per i professionisti della politica culturale che, secondo Faro, devono aprirsi all’apporto permanente e dinamico della società civile. Nina Mekacher lo riassume così: «In un progetto di partecipazione, lo scopo è tanto il risultato quanto il percorso».

Autore : Joanna Nowotny, assistente di ricerca presso l’Archivio svizzero di letteratura (SLA) di Berna e freelance per il quotidiano «Der Bund» e «BZ» di Berna.

Attenzione: fragile!

Il nostro sguardo oltre i confini si posa oggi sull’Ucraina, i cui musei e beni culturali, messi a repentaglio dalla guerra, necessitano di aiuto immediato. Anche il materiale di imballaggio di un qualsiasi oggetto che arriva in Ucraina presta un contributo fondamentale alla protezione dell’identità del Paese.

Quando a fine febbraio, diversamente da quanto previsto dal Cremlino, era ormai chiaro che Kiev non sarebbe stata conquistata in pochi giorni e si delineava quindi la prospettiva di una guerra a lungo termine, la vita professionale di Iryna Nikiforova nella capitale ucraina è cambiata drasticamente. Da 15 anni fa parte di diversi comitati, consigli e commissioni per la protezione del patrimonio storico e culturale del suo Paese, che comprende 400 musei e 3000 siti culturali, tra cui sette registrati nel patrimonio mondiale. «Da un giorno all’altro, mi sono ritrovata al telefono con un rappresentante della rete di protezione dei beni culturali dell’Ucraina che mi ha chiesto se fossi in grado di determinare il fabbisogno di aiuti per i siti culturali ucraini, di prepararli e di ripartirli». La risposta non poteva che essere affermativa.

«La rete di protezione dei beni culturali dell’Ucraina è stata fondata subito dopo lo scoppio del conflitto in collaborazione con la società tedesco-ucraina per l’economia e la scienza al fine di proteggere i beni culturali a rischio a causa della guerra e tutelare così l’eredità culturale del Paese, direttamente e senza ostacoli burocratici», spiega Olena Balun. La storica d’arte e interprete di origini ucraine basata a Rosenheim è diventata quasi da un giorno all’altro coordinatrice a tempo pieno di questa rete, anche lei mettendo in secondo piano il suo principale lavoro come curatrice e membro del direttivo dell’Associazione per le arti di Rosenheim. Da marzo, infatti, Olena Balun si occupa assieme a colleghe e colleghi come Iryna Nikiforova di determinare il fabbisogno di aiuti, come materiali di imballaggio, casse per il trasporto, materiali e utensili di restauro, estintori, coperture antincendio, vernici ignifughe e strumenti di lavoro.

In stretta collaborazione con questa rete e con il supporto dell’Ufficio federale della cultura, AMS e ICOM Svizzera coordinano le attività di sostegno locali a tutela dell’eredità culturale ucraina. A tale scopo è stata formata una task force con rappresentanti della Confederazione, del Museo nazionale e di ICOMOS Suisse. Finora sono stati inviati dodici autocarri, cinque corriere e tre treni merci carichi di aiuti alle istituzioni e ai musei ucraini colpiti: un risultato raggiunto grazie ad aziende di trasporto, fondazioni private, musei e altri istituti di Germania, Austria e Svizzera nonché alle loro donazioni in denaro e materiali. Una cooperazione, questa, che è in grado di superare i confini ed è «estremamente efficace e professionale, nonché dimostrazione di un grande senso di comunità», afferma Balun.

Prima l’analogico, poi il digitale

«Prima di tutto», racconta Nikiforova, «i musei delle zone occupate o a rischio di occupazione hanno dovuto mettere in salvo le proprie collezioni». È quindi stato necessario imballare i beni artistici e culturali delle collezioni in modo da preservarli al meglio e nasconderli in luoghi segreti del Paese in parte noti soltanto ai collaboratori stessi dei musei. «È raro che tali luoghi, che spesso sono delle cantine, soddisfino i requisiti climatici necessari», spiega Balun, «per cui i dipinti, i disegni e persino le sculture in diversi materiali rischiano il danneggiamento a causa di umidità e muffa. Di conseguenza, i collaboratori sul posto hanno generalmente bisogno di grandi quantità di carta per restauro, dispositivi di deumidificazione, strumenti di misurazione dell’umidità dell’aria, generatori di corrente e gel di silice».

Dopo aver tamponato l’emergenza legata ai beni culturali analogici, cresce ora la domanda di strumenti e competenze nel campo della digitalizzazione. Balun spiega: «La nostra rete supporta da poco un’iniziativa ucraina di nome Skeiron, che dal 2016 si occupa di eseguire la fotogrammetria dei siti culturali e delle opere architettoniche più grandi, di scansionarli con laser e poi di crearne modelli in 3D. Questa tecnologia è molto costosa, in quanto sono necessari degli scanner di qualità e dei server stabili. Dall’inizio della guerra i collaboratori digitalizzano in questo modo le opere architettoniche e i monumenti più importanti e sempre più spesso anche gli oggetti, in modo da poter eventualmente utilizzare le scansioni come ausili per la ricostruzione di edifici nel caso vengano distrutti. Occorre ora trasmettere queste competenze e ampliare gradualmente la rete con fotografe, fotografi e altre persone con le conoscenze giuste», conclude Balun.

Distruzione sistematica 

All’inizio di agosto 2022, il ministero della cultura ucraino riportava sul suo sito web il danneggiamento, il furto e la distruzione di 505 siti del suo patrimonio culturale o istituti culturali, tra cui musei, chiese, archivi e monumenti architettonici. Secondo Nikiforova, le distruzioni come quelle del museo di Skovoroda nella regione di Kharkiv e dell’archivio della città di Černihiv oppure la depredazione dei musei di Mariupol e Melitopol hanno carattere sistematico: «Il regime russo, a quanto pare, vuole non solo distruggere le nostre abitazioni, ma anche annientare in modo mirato la nostra storia e con essa l’identità comunitaria della popolazione ucraina». Balun aggiunge: «La cultura è ciò che ci rende persone. Preservarla significa preservare noi stessi. Le persone, le regioni, le città, gli Stati hanno tutti un’identità e Putin mira a distruggere completamente la cultura ucraina».

È quindi inevitabile fare riferimento alla Convenzione dell’Aia, ai sensi della quale la distruzione intenzionale del patrimonio e della proprietà culturale in ambito bellico viola il diritto internazionale. Sia la Russia che l’Ucraina sono tra i 133 firmatari. Com’è quindi possibile che la Russia sia ancora membro delle grandi associazioni per la cura di musei e monumenti come ICOM? Tale questione, per lungo tempo ignorata da tutti eppure sempre presente, è stata discussa a fine agosto durante l’assemblea generale del Consiglio internazionale dei musei ICOM a Praga, dopo il forfait del comitato russo. Ora, su iniziativa di ICOM Svizzera (supportata dai comitati di Germania e Austria), la distruzione mirata dei beni culturali da parte del regime russo è stata pubblicamente condannata.

Uno sguardo al futuro

Nikiforova e Balun non si fanno trascinare in speculazioni su quanto durerà ancora questa guerra, ma Iryna Nikiforova non ha dubbi sul fatto che l’Ucraina ne uscirà vittoriosa. Entrambe si augurano che il Paese, il più grande d’Europa in termini di superficie, continui a ricevere «aiuti rapidi, tempestivi ed efficaci, che non solo comprendano armi, ma prevedano anche sanzioni». Le accomuna inoltre il desiderio «di una maggiore considerazione da parte dell’Occidente nei confronti sia della Russia che dell’Ucraina». Ci si sente colti in fallo pensando all’ignoranza occidentale in merito al retaggio di questo grande e variegato panorama culturale, ricco di tradizioni. Questa ignoranza è resa palese non da ultimo dal fin troppo evidente recente conferimento di premi letterari ad autrici e autori dell’Ucraina, dalla vittoria dell’Eurovision Song Contest da parte di musicisti del Paese oppure dalla grande tournée europea con protagoniste le opere di Syl’vestrov. Nikiforova spera che «con la fine della guerra, le persone di tutto il mondo vengano a visitarci e a farsi stupire dai siti artistici e culturali del nostro Paese, come la cattedrale di Santa Sofia o le storiche chiese scolpite nel legno».

Olena Balun racconta che l’«avanguardia ucraina», oggetto delle sue ricerche in passato, non è mai stata riconosciuta dalle colleghe e dai colleghi in Russia. Non era neppure permesso riconoscerla. Questa mancanza di riconoscimento ha sortito il suo effetto anche nei musei e nelle sedi espositive in Europa, che includevano l’avanguardia ucraina, sovietica, georgiana e slava sotto l’ombrello di «avanguardia russa». Dal 2010, spiega Balun, è però cominciato un graduale processo di differenziazione e rivalutazione. Una rivalutazione che le infonde coraggio proprio come la comunità di musei, di fondazioni e di altri attori del mondo artistico e culturale che, unendo le forze, aiutano a salvare l’identità di un intero Paese.

Autore : Katharina Nill

Cronaca 2022

La cronaca offre una panoramica completa e variegata dei nuovi sviluppi e dei cambiamenti nel panorama museale svizzero.

Ripercorriamo le occasioni speciali, i cambiamenti e gli eventi di quest’anno 2022. Come di consueto, la nostra cronaca passa in rassegna gli anniversari, iniziando quest’anno con i centenari: il Musée de l’Areuse e il Rätische Museum (Museo retico) portano con orgoglio i loro 150 anni, così come il Musée Jenisch Vevey che quest’anno celebra il 125esimo anniversario. Con il 75esimo compleanno, il Musée d’art du Valais ha già percorso tre quarti del cammino verso il secolo. I più giovani a festeggiare quest’anno sono lo Schulmuseum Amriswil (20) e il Musée de la main (25): anche a loro facciamo naturalmente i nostri migliori auguri!

Un’altra occasione di celebrazione sono le seguenti cerimonie di premiazione: il Kindermuseum Creaviva presso il Zentrum Paul Klee di Berna, con la sua esposizione estiva di quest’anno intitolata «Un segreto luminoso. Bambini e bambine espongono Klee», riceve il Children in Museums Award 2022. A essere premiato è stato anche il servizio museale Leeds Museums & Galleries, perché quest’anno per il decennale della cerimonia si è deciso eccezionalmente di concedere questo riconoscimento a due istituzioni. Per l’European Museum of the Year Award 2022 sono stati nominati sei musei svizzeri: il Domschatzmuseum Chur (Museo del Tesoro della Cattedrale di Coira), la Fondation Opale a Lens, la Haus der Museen Olten (Casa dei Musei di Olten), il Museo Moesano a San Vittore, il Castello di Wildegg e infine il Schweizerische Blindenmuseum (Museo svizzero sulla cecità) a Zollikofen, premiato con una «Special Commendation».

Sul fronte delle novità architettoniche e delle ristrutturazioni, l’esposizione permanente del Kirchenschatzmuseums (Museo del Tesoro della Chiesa) della parrocchia cattolica di Baden è stata completamente riprogettata nel quadro della ristrutturazione complessiva della chiesa cittadina riaperta al pubblico da maggio. Il museo FIFA si presenta con un nuovo nome e un nuovo logo. Infine, a Losanna è stato inaugurato il Plateforme 10, che va a completare il quartiere dei musei della città.

Ma più numerose delle modifiche agli spazi sono state nel 2022 le sostituzioni di personale in ruoli dirigenziali. Juri Steiner è subentrato a Bernard Fibicher, diventando così il nuovo direttore del Musée cantonal des Beaus-Arts di Losanna. Walter Bersorger, prima alla guida dell’Ortsmuseum Horgen, dall’inizio dell’anno ha preso le redini da Marco Sigg andando a ricoprire lo stesso ruolo al Museum Burg Zug. In primavera, la presidenza dell’associazione Museo tessile di San Gallo ha eletto come nuova direttrice Mandana Roozpeikar, la quale ha raccolto il testimone dal direttore ad interim Stefan Aschwanden. Già alla fine dello scorso anno Jana Johanna Haeckel aveva assunto l’incarico di nuova direttrice del Photoforum Pasquart, mentre Danaé Panchaud, che l’aveva preceduta, è ora direttrice del Centre de la photographie di Ginevra. Durante l’estate del 2022, Laurence Schmidlin ha sostituito Céline Eidenbenz come direttrice del Musée d’art du Valais. L’Anna-Göldi-Museum ha accolto al timone Ursula Helg, che riprende il ruolo precedentemente rivestito da Fridolin Elmer, mentre Judith Schubiger ha assunto la direzione della Casa del patrimonio svizzero sostituendo Karin Artho, e Karine Meylan è passata dall’ArchéoLab di Pully al Musée romain de Lausanne-Vidy come nuova direttrice, dopo il pensionamento del suo predecessore Laurent Flutsch. Nadir Alvarez ha intrapreso il ruolo di direttore del futuro Muséum cantonal des sciences naturelles nel Cantone Vaud. A fine estate, Franziska Karlen è invece subentrata a Regula Berger nella direzione del Museo svizzero del tiro di Berna. Katrin Steffen è la nuova direttrice del Kunstmuseum Solothurn (Kunstmuseum di Soletta), dato che il precedente direttore Christoph Vögele è di recente andato in pensione. Dall’autunno Pascal Ruedin ha ceduto la direzione dei Musées cantonaux du Valais a Marie Rochel. Nathalie Herschdorfer riprende il ruolo di direttrice del Photo Elysée finora ricoperto da Tatyana Franck. Il consiglio di fondazione ha eletto Barbara Karl nuova direttrice facente funzioni e responsabile scientifica presso il Museo all’aperto Ballenberg, Kabelo Malatsie succederà poi a Valérie Knoll in qualità di nuova direttrice della Kunsthalle Bern (Galleria d’arte di Berna). Quest’autunno, Robin Byland ha preso il posto di Claudine Metzger alla direzione della Kunsthaus Grenchen (Kunsthaus Grenchen); il Musée d’ethnographie di Ginevra ha trovato una nuova direttrice nella persona di Carine Ayélé Durand, mentre Hans Jahn è diventato il nuovo presidente dell’Ortsmuseum Birmensdorf dopo Käthi Keller. Il Musée des beaux-arts du Locle accoglie Federica Chiocchetti come nuova direttrice; Anna Wenger dall’inizio dell’anno ha preso il posto di Werner Wunderli come nuova presidente dell’Ortsmuseum Meilen. Katharina Müller si vede consegnare da Max Ambühl e Urs Siegrist le chiavi della direzione del Museum Zofingen, mentre Barbara Paltenghi Malacrida sostituisce Simone Soldini diventando così la nuova direttrice del Museo d’arte Mendrisio. Le due istituzioni Kunstmuseum Appenzell e Kunsthalle Ziegelhütte danno il benvenuto alla nuova direttrice Stefanie Gschwend, in precedenza al Centre d’art Pasquart Bienne, dove ora è Paul Bernard a rivestire il ruolo di direttore. Infine, Ann Demeester è la nuova direttrice della Kunsthaus Zürich (Kunsthaus di Zurigo). Porgiamo a tutti e tutte i migliori auguri per le loro nuove cariche!