Rivista svizzera dei musei

Rivista svizzera dei musei 18

Il 18° numero della Rivista svizzera dei musei fa un bilancio del congresso annuale e presenta l'iniziativa «Happy Museums». La serie fotografica presenta un piccolo museo nella Val de Travers, mentre «Uno sguardo oltreconfine» si rivolge alla Cina, più precisamente a Hong Kong, dove il museo M+, progettato da Herzog & de Meuron, apre le sue porte con la collezione di Uli Sigg. Infine, come sempre in autunno, la cronica offre una panoramica degli ultimi sviluppi e cambiamenti nel panorama museale svizzero.

Rivista svizzera dei musei 18

A proposito

La Rivista svizzera dei musei è la rivista dei membri dell'AMS e di ICOM Svizzera. Fornisce informazioni sulle attività delle associazioni e sull'attuale politica culturale, presenta una selezione di opere specialistiche e offre uno sguardo dietro le quinte dei musei svizzeri attraverso una serie di fotografie. La rivista viene pubblicata due volte l'anno in edizione multilingue. Le traduzioni dei principali articoli sono disponibili su museums.ch.

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Traduzioni

La realtà del virtuale

Quali tecnologie digitali hanno utilizzato i musei svizzeri per proseguire il loro lavoro nonostante il lockdown? Quali insegnamenti hanno tratto da questa esperienza e come pensano di metterli in pratica in futuro? È probabile che le interazioni tra fisico e virtuale continueranno a essere un fenomeno rilevante per il mondo museale.

La pandemia di Coronavirus e le misure igienico-sanitarie che ha comportato, soprattutto nella primavera del 2020, hanno innescato in molti settori una vera e propria corsa alla digitalizzazione. Anche nel mondo dei musei la trasformazione digitale ha subìto una rapida accelerazione ed è sempre più evidente che sarà irreversibile. Ciò che è iniziato durante il primo lockdown sta continuando anche dopo la riapertura: le istituzioni museali stanno rafforzando la loro presenza digitale a beneficio del pubblico, digitalizzando le loro collezioni, sperimentando nuovi formati di mediazione culturale e utilizzando sempre più i canali di comunicazione digitale.

Nel corso di questo processo, i musei stanno scoprendo modi inediti di aggiungere valore alle proprie collezioni e di rivolgersi a nuovi segmenti di pubblico. Al tempo stesso devono far fronte a delle difficoltà, risolvendo le sfide poste dalla limitazione delle risorse, dalla mancanza di esperienza in questo settore e dagli ostacoli di tipo tecnico. La necessità di imparare l’uno dall’altro è più forte che mai. Il tema «Reale e digitale: strategie per il futuro del museo» è stato al centro del Congresso annuale 2021 dell’Associazione dei musei svizzeri AMS e dell’Associazione svizzera dei professionisti dei musei ICOM.

Per ragioni di necessità, ma anche di logistica, l’evento ha avuto luogo il 26 e 27 agosto 2021 sulla piattaforma Zoom: i partecipanti hanno perciò avuto modo non solo di riflettere sulla trasmissione digitale dei contenuti, ma anche di utilizzarla concretamente. Questo non ha affatto condizionato l’atmosfera di attesa, né ha influito sull’acquisizione delle conoscenze, al contrario. Nel corso degli incontri, che hanno avuto luogo in vari formati – relazioni, sessioni di break-out e wrap-up, tavole rotonde e presentazioni – sono state sollevate questioni scottanti: che valore ha l’originale se non viene più mostrato fisicamente? Il suo valore viene sminuito o, al contrario, le copie digitali e la realtà «migliorata» (enhanced reality) contribuiscono a preservare l’unicità degli originali? Come usare gli strumenti digitali per agevolare la partecipazione? Quale valore aggiunto generano le strategie digitali nella mediazione, nella ricerca, nell’archiviazione e nella conservazione? Quali sono gli aspetti legali da tenere in considerazione? La maggioranza ritiene che i formati ibridi, ossia le combinazioni tra digitale e fisico, acquisteranno sempre maggiore importanza. Tuttavia, non esiste una strategia generalmente valida per la loro attuazione concreta. In sintesi, c’è ancora molto da fare.

Autore : Judit Solt, dipl. Arch. ETH SIA, giornalista specializzata BR

Sulle tracce di Harald Naegeli

Il motto del Congresso annuale 2021 era: «Reale e digitale: strategie per il futuro del museo?». La piattaforma online «Die Spuren des Sprayers von Zürich» (Le tracce del graffitaro di Zurigo) ha saputo utilizzare questa opportunità nel modo migliore.

La piattaforma online lanciata dal Musée Visionnaire di Zurigo, presentata al congresso annuale dell’AMS, permette di rintracciare opere esistenti, rimosse o dimenticate. Le figure lineari e stilizzate di Harald Naegeli (*1939) hanno diviso l’opinione pubblica fin dalla loro comparsa sui muri e sulle facciate delle case nella Zurigo degli anni Settanta. Ma chi sa davvero quando e dove l’artista ha creato i suoi graffiti e quali di essi si possono trovare ancora oggi in città?

Lo stesso Harald Naegeli non ha quasi mai documentato i suoi interventi, mentre polizia, media e privati cittadini lo hanno fatto eccome. Per portare alla luce questo tesoro, in occasione della mostra «Harald Naegeli – der bekannte Unbekannte» (HN, il noto sconosciuto) del 2021, la Fondazione Harald Naegeli e il Musée Visionnaire hanno creato un archivio digitale partecipativo. La piattaforma, molto facile da usare, invita gli utenti a caricare le proprie fotografie dei graffiti urbani di Naegeli. Mai prima d’ora la sua opera è stata documentata in modo così completo, grazie a fotografie attuali e storiche delle sue stick figures tuttora visibili o ormai scomparse. Una mappa interattiva mostra l’ubicazione dei graffiti ancora esistenti.

Il successo di questa offerta museale in formato digitale è attestato dalle oltre 1330 immagini caricate dalla community, che è stata costruita grazie a un riferimento preciso presente in mostra, ma anche alle passeggiate di Naegeli attraverso Zurigo, agli eventi speciali organizzati dal museo e al contatto diretto con gli estimatori di lunga data dell’artista. L’uso del digitale ha permesso inoltre di salvaguardare molte opere che non erano mai state documentate pubblicamente. Nel corso di questo processo, i fan di Naegeli si sono trasformati in curatori digitali con l’incarico di allestire le foto dei graffiti nello spazio urbano, e al tempo stesso in archivisti, impegnati in questioni di attribuzione, datazione e descrizione delle opere. In questi loro compiti sono stati sostenuti dall’artista e dal team della mostra.

Il progetto, attuato in maniera graduale, è stato di volta in volta adattato alle varie esigenze. Le risorse umane e finanziarie necessarie alla sua realizzazione sono frutto della cooperazione tra il Musée Visionnaire, l’artista e la sua fondazione con la Fondazione per l’arte, la cultura e la storia. La piattaforma Naegeli dimostra che il successo delle offerte digitali non dipende tanto dalle dimensioni dell’istituzione, ma da una riuscita sinergia di pratiche come la curatela, l’educazione artistica e l’impegno a favore della divulgazione.

Autore : Sonja Gasser

I musei sostenibili sono «Happy Museums»

Il progetto «Happy Museums», lanciato di recente, invita i musei svizzeri a interrogarsi sul loro contributo al tema della sostenibilità. Forti del loro ruolo di veicoli della conoscenza, i musei possono stimolare la riflessione dei visitatori, ma anche integrare i criteri di sostenibilità nelle loro linee guida a livello istituzionale.

La felicità viene comunemente identificata con il benessere individuale. Tuttavia, se colleghiamo questo concetto al tema della sostenibilità, il discorso si amplia fino a includere il benessere comunitario e globale, e allo stesso tempo la responsabilità nei confronti della società e dell’intero pianeta. Questa dimensione più ampia è sottolineata dalla responsabile del progetto Nadja R. Buser. Quando le chiediamo perché Helvetas si è occupata di questo tema, lei risponde citando Catherine O'Brien, una professoressa canadese di scienze dell’educazione: «La felicità sostenibile è quella che contribuisce al benessere della persona, della comunità e del pianeta, senza danneggiare gli altri individui, l'ambiente o le generazioni future». Per portare il tema a «livello sistemico», come dice Nadja R. Buser, Helvetas ha creato la rete «Happy Museums», gestita dall’organizzazione 2N2K (la rete per la Sostenibilità nell’arte e nella cultura) e diretta da Pia Viviani e Jenny Casetti dell’azienda catta. Nel gruppo direttivo sono coinvolti musei ed enti amministrativi, come pure l’AMS e ICOM Svizzera. L’iniziativa ha preso spunto dall’«Happy Museum Project», lanciato dieci anni fa in Gran Bretagna con l’obiettivo di collegare la sfida della sostenibilità al benessere sociale e istitu-zionale e al concetto di resilienza (di persone, luoghi e pianeti), sottolineando così non solo la dimensione ecologica della sostenibilità ma anche quella sociale.

Che la sostenibilità comprenda tre dimensioni – economica, ecologica e sociale – è un fatto ormai scontato, tuttavia è solo nell’interazione di questi tre aspetti che può dispiegarsi appieno il suo potenziale, andando a incidere non solo nella società e nel pianeta, ma anche nelle istituzioni.

Happy Museums – la rete svizzera

A un primo sguardo al sito web, sembra che l’iniziativa svizzera «Happy Museums» sia concentrata sull’offerta, sulla dimensione ecologica e sull'obiettivo per il quale, attraverso una ben mirata attività espositiva e di mediazione culturale, i musei svizzeri incoraggino quanto più possibile il pubblico a cambiare nel concreto i propri comportamenti individuali. Durante le conversazione, tuttavia, questa impressione si dimostra errata: «È un discorso che evidentemente chiama in causa i processi istituzionali e la dimensione sociale della sostenibilità», sottolinea Nadja R. Buser. Si pensi ad esempio al modo in cui i musei affrontano la questione della diversità, sia dal punto di vista strutturale – nella composizione dei gruppi e dei vari organismi – sia per ciò che riguarda i temi delle mostre e la loro comunicazione.

Il fatto che la mia richiesta sia stata subito accolta e che il contenuto del testo sia stato modificato sul sito dimostra che «Happy Museums» è un progetto in divenire, un processo di apprendimento e riflessione per avvicinarsi gradualmente al tema della sostenibilità e alla sua capacità di modificare il panorama museale, concretizzando via via gli obiettivi dell'iniziativa. Dopo un primo incontro avvenuto nell'estate del 2021, in cui i musei hanno avuto modo di illustrare le proprie esigenze e richieste di sostegno, alla fine di novembre è previ-sta una seconda giornata di riflessione. I musei svizzeri sono invitati a presentare esempi pratici e a condividere le loro esperienze.

L'oratore principale sarà Daniel Dubas, delegato del Consiglio federale per l'Agenda 2030. Per Dubas, tutti gli attori coinvolti a qualsiasi livello sono rilevanti per l'attuazione dell'Agenda. Sottolineando l’importanza dei musei ai fini della comunicazione dei principi di quest’ultima a un vasto pubblico, tuttavia, Dubas ammette di non aver finora approfondito in modo particolare il loro ruolo in questo senso. Per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissi, afferma, occorre attribuire la medesima importanza a tutte e tre le dimensioni dello sviluppo sostenibile – ambientale, sociale ed economica – e non metterle l'una contro l'altra. «Come luoghi d'incontro, i musei offrono una piattaforma preziosa per trasmettere le conoscenze su questi temi e stimolare il dibattito», sottolinea Dubas. Ma è anche importante che i musei diano il buon esempio riguardo al consumo energetico dei loro edifici o alla diversità di genere del personale.

Qualcosa si muove nelle istituzioni

Chiamati a interrogarsi sulla propria identità, i musei riflettono sul loro contributo alla società e al suo cambiamento. Le iniziative volte a rafforzare l'inclusione, ad accrescere la partecipazione culturale, ad adottare i principi della diversità e dell'uguaglianza di genere puntano tutte nella stessa direzione e in definitiva possono essere riassunte sotto l'obiettivo della sostenibilità.

Molti musei sono già al lavoro. Il Museum für Kommunikation di Berna sta affrontando la sfida da diversi punti di vista. Con il progetto partecipativo «Planetopia – Raum für Weltwandel» (Planetopia – Spazio per il cambiamento globale), sta esplorando la possibilità di arrivare a una posizione condivisa sull'importanza della sostenibilità ecologica, dedicandosi al tempo stesso a obiettivi di sostenibilità sociale: Attualmente sta lavorando a una strategia per favorire la diversità, collegandola ad altri progetti nell’ambito dell'inclusione e della partecipazione come «Multaka», «Lapurla» e «Kultur inklusiv» (vedi numero 17 della Rivista). La direttrice Jacqueline Strauss, coinvolta anche lei nel direttivo di «Happy Museums», dice: «Nel nostro museo lo sviluppo viene dall'interno e si esprime in un approccio consapevole alla diversità, all'innovazione e alla partecipazione, che riconosciamo come aspetti centrali della dimensione sociale della sostenibilità».

Il Musée d'ethnographie di Ginevra (MEG) ha già elaborato una strategia globale con l'obiettivo di diventare un museo di riferimento per lo sviluppo sostenibile. Il programma, volto a incrementare la sostenibilità e ridurre l'impronta di carbonio, include una scenografia ecologica e una politica di acquisizioni mirata, insieme alla trasformazione istituzionale del museo e a un programma di eventi sulla crisi climatica. L'attuale mostra speciale «Injustice environnementale – Alternatives autochtones» (Ingiustizia ambientale – Alternative autocto-ne) è il punto di partenza per il dialogo con il pubblico. Il MEG presenterà i risultati ottenuti alla giornata di riflessione organizzata dalla rete «Happy Museums», che mira a unire le forze delle istituzioni svizzere grazie a un reciproco scambio di esperienze.

Label in preparazione

Oltre alla giornata di riflessione, che in futuro si terrà annualmente, la rete «Happy Museums» sta preparando il «Just do it Fund» che a partire dal 2022 sosterrà concretamente i musei nel loro processo di cambiamento. Nel 2023, sarà lanciata una speciale label per certificare l’impegno e la volontà dei musei di intraprendere il cammino insieme ad altri. Anche in questo caso l’accento è posto sull’aspetto degli sviluppi futuri: non si tratta certo di mettere la spunta a un elenco di criteri, che si dimostrerebbero senz’altro troppo rigidi e poco utili di fronte alla grande varietà dei musei svizzeri. Resta da vedere come le istituzioni museali accoglieranno gli impulsi e daranno peso alle diverse dimensioni della sostenibilità, sia nell’offerta che nelle strutture. Quanto cambieranno i musei nei prossimi anni? Riusciranno a porre la «felicità» tra i loro obiettivi saldandola una volta per tutte alla pratica quotidiana?

Autore : Mediatrice culturale e consulente organizzativa, Katrin Rieder è anche organizzatrice di programmi che mirano a rafforzare la partecipazione culturale, come l’iniziativa «Multaka Bern», di cui è co-responsabile. Il suo articolo «Das grüne Museum? Institutionsentwicklung mit Ziel: Nachhaltigkeit» (Il museo verde? Lo sviluppo dell’istituzione con l'obiettivo della sostenibilità) si può leggere alle pp. 10-17 del numero 13 della Rivista (un riassunto è di-sponibile in italiano) .

Il collezionista e il partito

Uli Sigg, influente esteta svizzero, ha creato una collezione di arte contemporanea cinese di livello mondiale. Tuttavia, dopo averla donata a un museo di Hong Kong, si trova oggi nell’occhio del ciclone.

All’ingresso della mitica baia di Hong Kong, il tanto atteso museo M+ progettato da Herzog & de Meuron con la sua facciata di piastrelle color verde scuro si dà oggi gli ultimi ritocchi. Il quartiere di West Kowloon è ancora scosso dal rumore dei cantieri, ma il museo dedicato alla cultura visiva contemporanea aprirà finalmente in autunno, con quattro anni di ritardo, e potrà dare al centro finanziario la dimensione culturale di cui era dolorosamente privo. Il pezzo forte di M+? Le 1.510 opere della collezione dello svizzero Uli Sigg, la raccolta di arte contemporanea cinese più importante, più coerente e più completa del mondo, che rappresenta in modo quasi enciclopedico quattro decenni di evoluzione artistica e socio-politica in Cina, dalla fine della Rivoluzione culturale alle creazioni del XXI secolo. A lungo celebrate, queste opere sono diventate improvvisamente un problema, poiché sono accusate di propagare l’odio contro la patria. Pochi osano fare commenti in proposito. Tuttavia il flemmatico collezionista ci tiene a difendere il prezioso patrimonio, oggi tanto vituperato. Al suo ritorno dalla Cina continentale, mi dà appuntamento sulla terrazza di un caffè che si affaccia sul mare, proprio come il museo M+, con una vista mozzafiato sullo skyline di Hong Kong. Affabile, camicia bianca con motivi blu, rievoca la genesi del suo progetto.

Ascensori e ambasciate

Nel 1979, grazie alla porta spalancata da Deng Xiaoping, la Cina si avviava verso la modernizzazione sperimentando un vertiginoso sviluppo urbano. È una manna dal cielo per la società di ascensori Schindler, che incarica Uli Sigg di creare in loco una joint venture – la prima tra la Cina e il mondo esterno. «All’epoca ignoravo tante cose sulla Cina. Così ho pensato che attraverso l’arte contemporanea avrei potuto accedere a un altro segmento della realtà cinese», spiega, soppesando ogni parola.

Negli anni Ottanta le gallerie d’arte erano inesistenti, e l’uomo d’affari usava intermediari per entrare in contatto con gli artisti underground appena usciti dal giogo maoista. Nel decennio successivo questi creativi trovano un proprio linguaggio espressivo, spiega Sigg che allora può incontrarli personalmente. La sua figura snella e la testa calva diventano persino il soggetto di alcune opere.

Dal 1995 al 1998 diventerà ambasciatore della Svizzera a Pechino e acquisterà varie opere per sé prima di rendersi conto che «nessun privato o istituzione stava collezionando l’arte contemporanea del più grande spazio culturale del mondo». Uli Sigg decide allora di creare una collezione che sia «un documento in grado di raccontare la storia dell’arte contemporanea cinese e la storia del paese». Il pioniere acquista dipinti, foto e installazioni con un basso valore di mercato, che col tempo ottengono notorietà e diventano molto ricercati dalle grandi istituzioni all’estero.

Promessa di libertà

«Fin dall’inizio, la mia intenzione era cedere la collezione alla Cina in modo che il popolo cinese potesse vedere la propria cultura. È questo il senso più profondo della mia raccolta». La sua prima scelta cade su Pechino e Shanghai, ma le procedure si rivelano «troppo complicate e poco trasparenti». Allo stesso tempo, le autorità di Hong Kong lo corteggiano: «Perché pensa alla Cina continentale se lì c’è la censura? A Hong Kong c’è libertà di espressione», ricorda Sigg. L’argomento colpisce nel segno.

Nel 2012 Uli Sigg dona al futuro M+ 1.463 pezzi – tra cui opere di Zeng Fanzhi, Zhang Xiaogang e Yue Minjun – per un valore stimato all’epoca in 165 milioni di dollari, e gliene vende altri 47, con l’accordo che varie centinaia di opere dovranno essere esposte in modo permanente. Il resto della collezione rimane in Svizzera, alcuni pezzi sono nella sua casa sull’isola del lago Mauensee, nel cantone di Lucerna. L’autonomia del piccolo territorio di Hong Kong non è in discussione, e l’amministratore delegato di West Kowloon Michael Lynch si dichiara lieto del fatto che «grazie alla generosità del dottor Sigg, è stato fatto un passo importante per rendere il quartiere un centro artistico di livello mondiale in cui fiorirà l’arte contemporanea».

A dieci anni di distanza, la scena è radicalmente cambiata. Pechino ha accelerato l’integrazione della città nella Cina e lo scorso giugno ha promulgato una legge sulla sicurezza volta a sedare il dissenso politico e a prevenirne la diffusione nel resto del paese. La legge criminalizza, in termini vaghi, gli atti di secessione, sedizione, terrorismo e collusione con forze straniere e mina le libertà promesse al momento della restituzione alla Cina. «Fino a luglio il controllo era esercitato in modo più o meno occulto, ora è legalizzato. Questo è un enorme cambiamento per noi artisti, perché non siamo abituati. È un po’ come chiedere agli uccelli di nuotare», spiega un creativo che vuole mantenere l’anonimato.

Il museo M+ non è stato ancora inaugurato ed è già in crisi. Inoltre, al pari di chiunque altro del settore, non ha idea di come interpretare la legge. A metà marzo, la direttrice Suhanya Raffel ha dichiarato di non avere «alcun problema» a mostrare l’intera collezione, con obiettività e imparzialità, per stimolare la discussione e la formazione, nel rispetto della legge. Tuttavia «alcune opere diffondono l’odio», ha replicato la deputata del partito di maggioranza Eunice Yung, scatenando una polemica e provocando le minacce del capo dell’esecutivo locale, Carrie Lam, secondo la quale le autorità saranno «molto vigili» nei confronti delle «opere destinate a minare la sicurezza nazionale».

Dito medio

Un’opera in particolare ha catalizzato le tensioni: Study of Perspective: Tian’anmen, la foto di un dito medio teso davanti all’omonima piazza di Pechino, firmata dal dissidente Ai Weiwei. Un insulto alla Cina, accusano i suoi detrattori. Una foto presa fuori contesto che in realtà è parte di una serie, un «lavoro serio» che mette in discussione l’autorità e i valori stabiliti, replica Sigg. Il museo M+ ha già annunciato che l’opera non sarà presente alla mostra di apertura, ma la notizia non ha spento la polemica sulla raccolta del collezionista svizzero, addirittura definito dal quotidiano «China Daily» «un agente al servizio di forze straniere».

Questa accusa provoca un sorriso che disegna due fossette sul volto dell’ex diplomatico. Ma la serietà ritorna subito, quando parla di certi rappresentanti della corrente pro-Pechino, «che interpretano la legge in modo forse ancora più severo di Pechino stessa». «Stanno mettendo in pericolo Hong Kong e l’enorme investimento nella cultura costituito dal museo M+», riflette Sigg. Se le decisioni fossero prese dai politici e non dagli addetti ai lavori del mondo dell’arte, spiega, la cosa «causerebbe un grave danno». «C’è un rischio che forse non considerano».

Tutte le opere ritenute irriverenti scompariranno quindi dalla memoria pubblica? Cosa succederà ai nudi, ad esempio? O al dipinto New Beijing di Wang Xingwei, un riferimento implicito alla sanguinosa repressione del giugno 1989, che in Cina è tabù? Queste opere appartengono al museo M+ e non possono essere reclamate dal collezionista svizzero, né vendute. Tuttavia potrebbero essere prestate a dei musei stranieri, e alcune potrebbero persino essere esposte a Hong Kong visto che «molti cinesi non sanno più a cosa si riferiscono queste opere, perché l’evento è stato cancellato dalla memoria collettiva», suggerisce un esperto che preferisce rimanere anonimo.

«Non è una buona amica»

Nessuna direttiva è stata emessa dalle autorità locali, secondo le fonti del museo M+. Tuttavia le questioni fondamentali rimangono e riguardano anche le decine di gallerie e fiere d’arte internazionali, come Hauser & Wirth o Art Basel, che hanno aperto una sede nel porto franco di Hong Kong perché le politiche fiscali, doganali e di esportazione sono più flessibili e vantaggiose che nella Cina continentale. Quale arte è autorizzata dalla legge sulla sicurezza nazionale? «Nella tradizione cinese, l’arte è sinonimo di bellezza e armonia. Ma l’arte contemporanea non è una buona amica», dice Uli Sigg. «Mostra la realtà così com’è. Sa mettere il dito nella piaga, e ci fa pensare e mettere in discussione la nostra vita quotidiana. Sono due paradigmi molto diversi. Per molte persone, questo significa dover lasciare la propria comfort zone». Hong Kong, con le mani legate dalla nuova legislazione, avrà abbastanza spazio per mostrare quest’arte? Alcuni, come il Justice Center, ne sono convinti. Questa ONG è tra gli organizzatori dell’Hong Kong Human Rights Arts Prize, «uno dei pochi eventi in città», dice, «che continua a onorare il potere dell’arte come catalizzatore del cambiamento sociale, del dibattito e della difesa della dignità umana”. Anche Uli Sigg ne è convinto e «non è pentito» di aver donato la sua collezione a questo pezzo di Cina. «Forse ci vorranno molti anni, forse non vivrò abbastanza per vederlo, ma non ha nulla a che fare con me: arriverà il giorno in cui il museo sarà in grado di mostrare ogni cosa», questo è ciò che vuole credere.

Autore : Anne-Sophie Labadie, Hong Kong

Questo articolo è comparso su «Le Temps» il 1° maggio 2021.

Cronaca 2021

La cronaca offre una panoramica completa e variegata dei nuovi sviluppi e dei cambiamenti nel panorama museale svizzero.

Ancora una volta apriamo la nostra cronaca con gli anniversari di questo 2021. Innanzitutto i 150 anni dall'internamento dell'armata Bourbaki e i 140 anni del celebre Panorama realizzato per commemorare quell’evento epocale. Il Museo Bourbaki onorerà la ricorrenza con la mostra «Across Borders». La Kunsthalle Fri Art di Friburgo celebra i 40 anni di attività espositiva, 30 dei quali nella sede attuale: un duplice motivo per festeggiare. Il Museum Haus Konstruktiv celebra a sua volta i 35 anni di vita. Il Migros Museum für Gegenwartkunst ha aperto i battenti 25 anni fa mentre l'Associazione dei Musei del Canton Berna mmBE rappresenta da due decenni il variegato panorama museale della regione. È passato altrettanto tempo da quando allo scultore Erwin Rehmann è stato dedicato un museo, che ora gli dedica una retrospettiva in occasione del suo centesimo compleanno.

E dopo gli anniversari parliamo di riconoscimenti. Due musei svizzeri sono stati premiati nell’ambito dell’edizione 2020/2021 del premio European Museum of the Year. Il Walserhaus di Bosco Gurin riceve il Meyvaert Award 2021 per la sostenibilità, mentre l'ambito European Museum Award (EMYA) 2020 va allo Stapferhaus Lenzburg, un museo che «pone domande complesse, promuove la cultura del dibattito e ha un approccio innovativo, creativo e lungimirante alla comunicazione dei temi», come recita la motivazione. Il Prix Museum 2020 dell'Accademia svizzera delle scienze è stato assegnato al Museo naturale di Turgovia. Questa la motivazione della giuria: «Il museo si distingue per la innovazione, originalità e qualità costanti, nella trasmissione del sapere come nella ricerca».

Anche in questo 2021 nel panorama museale svizzero ci sono numerosi avvicendamenti da segnalare. Dall'inizio dell'anno Patrick Gyger è direttore generale di Plateforme10 a Losanna, mentre Larissa Foletta prende il posto di Alice Jacot-Descombes in qualità di curatrice e direttrice del Museo di Valmaggia. Dalla primavera di quest’anno anche il Museo nazionale svizzero ha una nuova direttrice: Denise Tonella che è subentrata ad Andreas Spillmann. A marzo Katja Fleischer, dopo 17 anni di servizio, ha lasciato la direzione del Museum Richard Wagner a Monika Sigrist. Dal mese di maggio Arnaud Maeder è il nuovo direttore del Muséum d'histoire naturelle et Musée d'histoire des sciences de Genève, come ha annunciato il Dipartimento della Cultura in un comunicato stampa; subentra a Jacques Ayer, che si è dimesso. Dopo 20 anni come direttrice del Musée du vin de Sierre-Salgesch, Anne-Dominique Zufferey passa le redini a Delphine Niederberger. La storica dell’arte Katrin Steffen succede a Christoph Vögele alla guida del Kunstmuseum Solothurn. Katharina Beisiegel è la nuova direttrice del Kirchner Museum Davos, mentre Pia Lädrach lascia lo Schulmuseum di Berna per prendere il posto di Urs Rietmann alla direzione del Museo per bambini Creaviva al Zentrum Paul Klee. Eva Bigler è la nuova direttrice artistica del Kunsthaus Zofingen. L'Associazione artistica di Glarona dà il benvenuto a Melanie Ohnemus come nuova direttrice del Kunsthaus Glarus. La scorsa estate Camilla Minini è stata nominata responsabile del Museo Engiadinais a St. Moritz, prendendo il posto di Charlotte Schütt, che va in pensione. Lo stesso vale per Cornelia Pedretti del Museo Segantini di St. Moritz, a cui è subentrata Claudia Stoian. Anche Véronique Rey-Vodoz è andata in pensione, e da questo autunno il suo successore Jordan Anastassov è responsabile del Museo romano di Nyon. Marco Sigg lascerà la direzione del Museum Burg Zug alla fine del 2021 per affrontare nuove sfide professionali e sarà sostituito da Walter Bersorger. Al Völkerkundemuseum San Gallo, Peter Fux prende il posto di Daniel Studer, che va in pensione. Anche la direttrice del Musée gruérien di Bulle, Isabelle Raboud-Schüle, è andata in pensione quest'estate; le succederà Serge Rossier. Raboud-Schüle rimarrà comunque alla presidenza dell’AMS fino alla prossima estate.

Veniamo ora al capitolo ristrutturazioni e nuove aperture. Dopo quattro anni di chiusura per lavori, il Musée de Saint-Imier riapre con le due mostre permanenti «En quête d'une identité» e «L'Espace des troupes jurassiennes». Nel mese di giugno, a Riehen, è prevista l’inaugurazione del MUKS - Museum Kultur & Spiel (Museo della cultura e del gioco), un museo per tutta la famiglia che sostituisce l'ex Museo dei giocattoli. Il Kunsthaus Zürich ha aperto la nuova struttura progettata da David Chipperfield Architects, che l’ha reso il più grande museo d'arte della Svizzera. A Losanna, il Palais de Rumine viene trasformato nel Palais des savoirs che ospiterà il nuovo Museo cantonale di scienze naturali; l'ex edificio del Musée de l'Élysée diventa la nuova sede dei servizi amministrativi. Il Henry-Dunant-Museum a Heiden è temporaneamente chiuso per lavori di ristrutturazione, al termine dei quali ospiterà una nuova importante mostra. I visitatori potranno rifarsi con il Dunant Plaza, a soli cinque minuti a piedi, che invece resterà aperto. Il Museum Gnadenthal, aperto in agosto, offre uno spaccato della movimentata storia del convento cistercense e dei 125 anni trascorsi da quando è stato convertito in casa di cura. Infine, il Gletschergarten (giardino dei ghiacciai) di Lucerna ha aperto al pubblico il suo mondo roccioso.

Notizie varie per concludere. In primavera, il Musée de l'aviation militaire de Payerne ha messo in funzione un nuovo simulatore F/A-18 con proiezione a 180°. Infine, è bello constatare che talvolta è possibile accedere ai musei anche di sera: in occasione delle Notti dei musei, a Berna, Svitto, San Gallo, Losanna, Zurigo, nel Vallese e nel Giura i visitatori hanno avuto la possibilità di intrattenersi al museo fino a tarda ora.