Rivista svizzera dei musei

Rivista svizzera dei musei 16

La 16a edizione della Rivista svizzera dei musei affronta la crisi sanitaria dal punto di vista dei musei e del pubblico, sia in Svizzera che oltreoceano. La rivista guarda anche al convegno annuale 2020 e alle discussioni sulla nuova definizione del museo.

Rivista svizzera dei musei 16

A proposito

La Rivista svizzera dei musei è la rivista dei membri dell'AMS e di ICOM Svizzera. Fornisce informazioni sulle attività delle associazioni e sull'attuale politica culturale, presenta una selezione di opere specialistiche e offre uno sguardo dietro le quinte dei musei svizzeri attraverso una serie di fotografie. La rivista viene pubblicata due volte l'anno in edizione multilingue. Le traduzioni dei principali articoli sono disponibili su museums.ch.

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Traduzioni

Tra impegno e piacere, i musei si rinnovano

Il museo non è più soltanto un’istituzione al servizio del patrimonio: ormai gli viene chiesto anche di contribuire alla dignità umana, alla giustizia sociale e all’uguaglianza. Per i musei svizzeri questa nuova aspirazione è una vera e propria sfida.

Che cos’è esattamente un museo dotato di rilevanza sociale e politica? Uno spazio che ospita collezioni costantemente arricchite e pensate per destinatari eterogenei? Una sorta di agorà, un luogo di scambio? Una macchina del tempo che narra vari tipi di storie? Un soggetto impegnato, che propone una prospettiva diversa su temi di interesse contemporaneo, promuovendo il rinnovamento della conoscenza? Un punto di riferimento per la società in cui opera?

Nel 2019, ICOM International ha sviluppato un progetto per una nuova definizione di museo, che prevede un maggiore impegno politico da parte delle istituzioni museali per “contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all’uguaglianza globale e al benessere planetario”.

Per la maggior parte dei musei svizzeri, caratterizzati da una forte tradizione culturale borghese, questo obiettivo inedito rappresenta una vera e propria sfida che potrebbe cambiare profondamente la loro identità.

Nel corso di una mezza giornata, il congresso dell’AMS ha affrontato il tema con decisione. I direttori delle istituzioni museali insieme a diversi attori della politica culturale svizzera si sono espressi e interrogati sui punti di forza e sui limiti dei musei rispetto alla ridefinizione della loro missione.

Senza prendere posizione «a favore o contro», queste discussioni hanno permesso di delineare alcune opportunità, ricche e diversificate proprio come è il paesaggio museale svizzero.

Stare al passo 

Il dibattito dell’AMS è riconducibile a una domanda centrale: come possono i musei affrontare in modo opportuno le questioni che stanno scuotendo le nostre società? La loro natura di “portatori di senso” costituisce un elemento fondamentale della risposta, tuttavia se si vuole che la discussione sia fruttuosa bisogna riconoscere che non si tratta di un valore statico e fuori dal tempo.

Ogni museo si confronta quindi con questa domanda: come si può conservare e al tempo stesso far crescere la propria identità istituzionale originaria tenendo conto del mondo contemporaneo e dei suoi sconvolgimenti? Come è possibile «stare al passo»? È un lavoro di adattamento continuo, graduale, costellato di battute d’arresto e di difficoltà.

Storicamente, fino alla metà del Novecento, i musei insieme alle chiese e ai monasteri hanno avuto il ruolo di guardiani del tempio, di custodi del sacro. Prodotti dell’industrializzazione e dello Stato-nazione, sono stati creati per dare fondamento ai valori delle società moderne e per elaborarne la narrazione fondativa. Così i musei storici hanno messo in scena le guerre e i trofei dell’epopea nazionale, mentre quelli di storia naturale hanno celebrato le conquiste della scienza, in costante sviluppo.

L’impatto delle controculture

Questa vocazione iniziale, in cui il passato mirava a creare e inquadrare il futuro, non è scomparsa. Tuttavia la sua sostanza si è modificata, soprattutto in seguito all’emergere, negli anni 1960-1980, delle controculture che si sono profondamente diffuse nella società svizzera. Da allora i musei non sono più soltanto templi, sono diventati amplificatori del passato, macchine per tornare indietro nel tempo e mescolare le epoche integrandovi le controculture. Così si sono reinventati come luoghi di incontro, di lettura, di cinema o teatro, oppure come librerie, caffè, ecc.

In altre parole, i musei si sono trasformati in una fonte di riflessione all’interno di una società che si interroga sulle questioni ambientali, sociali e politiche. L’incontro tra discipline ha permesso loro di offrire al pubblico approcci arricchenti e prospettive inaspettate. Al crocevia tra archeologia, storia e arte, il Nuovo Museo di Bienne (NMB), ad esempio, unisce queste tre discipline e con esse i diversi punti di vista dei relativi professionisti che collaborano sui temi espositivi.

Ripensare la propria identità e le sfide cui è chiamato come istituzione può portare il museo a ribadire il suo impegno nelle attuali questioni sociali e politiche. Un tale riposizionamento gli permette di trovare una voce originale e di dare un senso più profondo alla sua ragion d’essere.

Nel museo di storia naturale del cantone Vallese la riflessione sulle collezioni coincide con la partecipazione alla vita sociale. Il suo progetto adotta una posizione neutrale e non politicizzata, che parte dalla conoscenza e dagli oggetti per mettere in discussione l’impatto dell’uomo sulla natura, con l’obiettivo di mettere il pubblico in condizione di costruirsi una propria opinione. Questo discorso critico su temi che stimolano il dibattito può incontrare resistenze, ma apre il museo a un’utenza nuova, costituita soprattutto da adolescenti.

Collegarsi con il pubblico

L’impatto sociale di un museo dipende anche dalla sua capacità di “irradiazione”; un concetto che è al tempo stesso concreto e sfuggente. Popolarità, percezione mediatica, cooperazione internazionale, sviluppo digitale, unicità, reputazione in ambito scientifico: l’irradiazione è un concetto globale, e un lungo cammino che ogni istituzione deve intraprendere. Significa trovare un sottile equilibrio tra l’aspirazione a raggiungere un pubblico molto ampio e quella ad affermarsi come centro di competenza e di informazione.

La rilevanza sociale, e persino politica, del museo implica la capacità di raggiungere questi utenti e più in generale di stabilire un contatto con la società: catturare la loro attenzione, creare emozioni e ricordi, mettere in discussione le conoscenze di ciascuno e favorire gli scambi. Ma come si fa a far sì che questo accada?

Vivere un’esperienza

Per rispondere a questa sfida, i musei offrono sempre più spesso ai visitatori la possibilità di vivere un’esperienza, che sia un intreccio di emozione e meraviglia e ponga degli interrogativi, a volte addirittura delle provocazioni.

Oggi è essenziale offrire questo genere di esperienze innovative e stimolanti per il pubblico, senza trascurare approcci più convenzionali in grado di creare un legame duraturo tra l’istituzione e i suoi visitatori.

Questo è il paradosso dei musei del XXI secolo, di qualsiasi tipo essi siano: instaurare un clima di fiducia con il pubblico e al tempo stesso, in linea con la loro vocazione culturale, incoraggiare i visitatori ad allontanarsi dalle presentazioni note e prevedibili e dalla narrazione sociale dominante.

E il piacere che parte ha in tutto questo? È sempre presente, tuttavia diventa una questione sempre più soggettiva e mutevole. Interessante è il caso del museo della regione della Gruyère a Bulle, in cui oggetti privi di interesse estetico, che ricordano la passata povertà della regione, affascinano i visitatori perché raccontano una storia che li tocca e nella quale si riconoscono. Attraverso la loro carica emotiva, questi oggetti di uso quotidiano incoraggiano il pubblico ad andare oltre il mero apprezzamento estetico e lo invitano a mettersi in discussione.

In questo nuovo contesto, cosa si dovrebbe mostrare nei musei? Ormai da molto tempo non si accumulano conoscenze per “épater le bourgeois”. Ogni progetto espositivo, temporaneo o permanente, è un’occasione per riscrivere la storia, per stabilire un legame originale tra lo spazio-tempo dei visitatori e quello degli oggetti esposti, con l’obiettivo di attivare il museo come “mixer” di epoche, luoghi, persone e idee. Creando qualcosa di nuovo e di originale a partire dal vecchio o dal già visto, possiamo provocare quel famoso innesco che crea la connessione tra il pubblico e le collezioni, quindi con il museo.

Pensare fuori dagli schemi

Si tratta, insomma, di esporre le collezioni in modo diverso: avere un altro sguardo, pensare fuori dagli schemi, osare l’interdisciplinarità. È in questo modo che oggetti di varia provenienza – selezionati da noi professionisti, di oggi e di ieri – possono acquisire rilevanza, coinvolgere il pubblico e alimentare dibattiti.

Un tale rinnovamento nella lettura delle collezioni può avere molte sfaccettature. Come il cinema, il museo offre la possibilità di vedere qualcosa che non può essere visto altrove. Ecco perché deve coltivare la sua specificità e il suo radicamento nel luogo, attraverso una molteplicità di espressioni aperte a utenti diversi, in costante movimento.

In questo senso, il futuro merita di essere esplorato ulteriormente, con mostre che contengono previsioni, utopie, ucronie che si rispondono a vicenda. Nel Museo Villa dei Cedri a Bellinzona, alcuni artisti contemporanei offrono una visione tragica e poetica del mondo capace di rinnovare l’incanto del presente, toccando il cuore di una generazione che rimane indifferente di fronte alla presentazione classica dei capolavori dell’Ottocento.

In conclusione, al termine del Congresso dell’AMS prende forma un’idea sovversiva: da una collezione ospitata in un’istituzione scaturita dal mondo borghese può emergere un interrogativo contemporaneo, capace di rivolgersi alla nostra società. Eppure il piacere non scompare, anzi. Invece di bastare a se stessa, la meraviglia diventa il punto di partenza per una domanda sul presente, sul passato e sul futuro del nostro mondo.

Auteur : Adélaïde Zeyer, Château de Morges et ses Musées, membro del comitato dell’AMS

Definire il Museo: alle prese con una nuova identità

Che cos'è un museo? Nel 1946 l’International Council of Museums (ICOM) diede questa prima definizione: «La parola ‘museo’ comprende tutte le collezioni aperte al pubblico di materiale artistico, tecnico, scientifico, storico o archeologico, inclusi zoo e giardini botanici, ma escludendo le biblioteche, a meno che mantengano sale di esposizione permanenti» (ICOM, n.d.).

Sembra molto semplice e lineare. Nel settembre 2019 ICOM ha proposto una nuova definizione, in due paragrafi:

«I musei sono spazi democratizzanti, inclusivi e polifonici per il dialogo critico sul passato e sul futuro. Riconoscendo e affrontando i conflitti e le sfide del presente, conservano reperti ed esemplari in custodia per la società, salvaguardano ricordi diversi per le generazioni future e garantiscono pari diritti e pari accesso al patrimonio per tutte le persone.»

«I musei non sono a scopo di lucro. Sono partecipativi e trasparenti e lavorano in partnership attiva con e per le diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l'obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all'uguaglianza globale e al benessere planetario. (Adam, 2019)»

Una definizione molto più lunga e pesante, che ha scatenato una valanga di polemiche da parte dei professionisti dei musei di tutto il mondo. La presidente di ICOM Francia, Juliette Raoul-Duval, l’ha accusata di essere un «manifesto ideologico» (Noce, 2019). Personalmente adoro le polemiche, quindi mi hanno molto attratto le discussioni online e i commenti rilasciati dai vari professionisti del settore a proposito di quella definizione. Gli argomenti a sostegno delle ragioni per cui la definizione risultava inappropriata erano molteplici: dal fatto che era troppo riduttiva (non tutti i musei sono no-profit, dopo tutto) alla reazione di alcuni che si sono detti contrari a considerare i musei come spazi di giustizia politica o sociale. A mio parere quella definizione è il frutto della naturale evoluzione dell'identità del museo, che si va costruendo da tempo.

Queste argomentazioni – in particolare l'idea che i musei non siano spazi di giustizia politica o sociale – mi sono sembrate sconcertanti, infatti nel mio caso i musei sono stati veri e propri catalizzatore della mia identità. Crescendo, i miei genitori non mi hanno insegnato molto sulla nostra cultura d’origine. «Sei americana» è sempre stata la loro risposta alle mie curiosità. Invece grazie ai musei sono entrata in contatto con l’arte latinoamericana e anche se era poco rappresentata sono riuscita a trovarla e a rivendicarla come parte di me. Grazie a questa esperienza posso dire che nella mia vita i musei sono stati un luogo di giustizia sociale e dignità umana. Allora perché tante persone si sentono offese – o almeno avvilite – da questa parte della definizione?

Nella seguente serie di articoli, tratte dalle pagine di «Curator: The Museum Journal», registro l’evolversi della definizione di museo e analizzo il possibile significato per il futuro della nuova definizione di ICOM.

Definizioni del passato

«... a quanto pare oggi c'è molta confusione su cosa sia o cosa dovrebbe essere un museo» (Colbert 1961, p. 138). L'articolo di Edwin H. Colbert Cos'è un museo, pubblicato per la prima volta nel 1961, ne delinea le due caratteristiche fondamentali: la conservazione degli oggetti e l'interpretazione. Colbert afferma infatti che «se un'istituzione non è in possesso di oggetti che interpreta attraverso la ricerca o l'esposizione o entrambe le cose, non è un vero museo» (p. 139). Questa definizione non è applicabile alle istituzioni moderne; i musei per bambini, i musei online e altre istituzioni non vi rientrerebbero. Persino la definizione di ICOM, all'incirca dello stesso periodo, non comprenderebbe le istituzioni contemporanee: «ICOM riconosce come museo ogni istituzione permanente che conserva ed espone, a scopo di studio, istruzione e diletto, collezioni di reperti di interesse culturale e scientifico» (ICOM, s.d.).

In un articolo del 2010, Elaine Heumann Gurian ha esaminato numerose altre definizioni, redatte da diversi paesi e organizzazioni museali e ha suggerito che i musei potrebbero essere meglio compresi se li si inserisse in categorie che ne descrivano le priorità. Ad esempio, alcuni musei si concentrano sui propri oggetti, altri danno la priorità allo stato nazionale, ecc. L’autrice prosegue affermando che queste categorie servono a fornire orientamenti e spunti di discussione, non vogliono essere definitive.

Se questo non bastasse, dobbiamo anche considerare la definizione giuridica data da ogni nazione. Per brevità riporto una versione sintetica della definizione giuridica di museo valida negli Stati Uniti:

a. Per museo si intende un'istituzione pubblica, tribale o privata senza scopo di lucro, organizzata su base permanente per scopi essenzialmente educativi, culturali o estetici e che, avvalendosi di uno staff professionale...

b. Il termine «museo» nel paragrafo (a) di questa sezione comprende i musei che hanno collezioni tangibili e digitali. I musei includono – ma non si limitano a questi – i seguenti tipi di istituzioni, a patto che soddisfino quanto disposto nella presente sezione.

c. Ai fini della presente sezione, un'istituzione si avvale di uno staff professionale se impiega almeno un membro del personale, o l'equivalente per raggiungere il tempo pieno, retribuito o non retribuito, destinandolo principalmente all'acquisizione, alla cura o all'esposizione al pubblico di oggetti di proprietà dell'istituzione o da essa utilizzati (Definizione di museo, 2019).

Un articolo scritto nel 1983 per «Curator» da Raymond S. August dal titolo Museo: Una definizione giuridica approfondisce la storia della parola museo e il suo rapporto con la legge. August ci tiene a distinguere tra la definizione giuridica e il modo in cui i musei definiscono se stessi: «Negli ultimi trent'anni la legge non ha preso in considerazione la definizione di museo, mentre i professionisti del settore e le associazioni museali l’hanno attivamente riesaminata e continuano a farlo. Nel frattempo, la maggior parte degli elementi respinti in passato dai tribunali è stata adottata da molti all'interno della comunità museale» (p. 145). Il mio esame degli archivi del «Curator” della Wiley Online Library e di altre fonti ha evidenziato come le definizioni che tentano di delineare ciò che fa di un'istituzione un museo siano numerosissime. Non esiste neanche un consenso unanime su quale sia la terminologia corretta! Stavo annegando in un mare di verbosità; la testa ha iniziato a girarmi mentre il tutto si trasformava in puro nonsense.

Quanto detto dimostra che non abbiamo mai avuto la risposta: ancora non sappiamo definire veramente l’identità di un museo e il ruolo che ha oggi. Questa riflessione mi ha spinto a svolgere la ricerca che segue: come sono cambiati i musei e perché la nuova definizione di ICOM fa infuriare alcune persone?

Un mucchio di parole senza senso

Dopo aver passato al setaccio commenti e articoli su Internet, ho trovato che le ragioni più frequenti per cui le persone criticano la definizione proposta da ICOM sono:

1. È troppo limitativa
2. È troppo lunga
3. È troppo politica

Sono d'accordo sul fatto che sia troppo limitativa, in quanto esclude i musei che non hanno collezioni. Tuttavia, lo stesso valeva per la precedente definizione ICOM del 2007, secondo la quale:

«Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali e immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.» (ICOM, s.d.)

Alcune critiche alla nuova definizione valgono anche per le precedenti; ad esempio, non tutti i musei raccolgono oggetti.

Inoltre, in un editoriale del 2019, John Fraser ha dichiarato che questa definizione esclude molti musei, infatti non tutti si interessano alla «conseguente influenza sulla dignità umana, l'uguaglianza o il benessere planetario» (p. 502). Fa sembrare quasi che i musei vogliano proteggere i loro oggetti passando sopra al benessere dell'umanità. Invece le loro attività nel campo dell'istruzione e della ricerca dimostrano il contrario: vengono fatte per servire l'umanità. Dopotutto, che potere avrebbero questi oggetti senza le vicende umane che li accompagnano e senza tenere in considerazione il modo in cui le persone interagiscono con loro oggi?

Concordo con l'analisi di Fraser quando dice che la definizione di ICOM sia intrisa di utopici luoghi comuni che i musei potrebbero facilmente distorcere e privare di ogni significato. Per come la vedo io, al centro del dissenso sta il fatto che questa definizione, invece di definire e basta propone un modello etico che i musei dovrebbero cercare di seguire.

Molti musei parlano a vuoto di diversità e inclusione. Dato che ho lavorato in un museo, dopo tanti anni di vane promesse anche per me queste parole hanno perso ogni significato. Ad esempio, prendiamo il fatto che negli Stati Uniti è stato fatto ben poco per la diversificazione nell’ambiente di lavoro, nonostante le nuove politiche, le conferenze e i workshop dedicati a questo tema. Un sondaggio del 2015 ha riportato che l'84% del personale dei musei è bianco (Bates, 2018). Nel 2018, il Metropolitan Museum of Art di New York City ha assunto il suo decimo direttore bianco su dieci consecutivi, nonostante una politica attenta alla diversità, all'inclusione e alla parità di accesso al lavoro (Sayej, 2018). In definitiva, che potere hanno queste iniziative se non sono supportate da alcuna azione significativa?

Nella mia esperienza, i musei (e tante altre istituzioni) sono molto bravi a fissare obiettivi e a non raggiungerli mai. Vorrei che i consigli di amministrazione, il personale e i direttori si attivassero all'interno delle loro istituzioni per dare nuovo vigore alle parole chiave: diversità, giustizia sociale e inclusione. Se da un lato la definizione proposta da ICOM è il segno che questo movimento viene riconosciuto, dall’altro un appello all'azione etica non è un termine adatto a definire cosa sia un museo; anzi è il semplice elenco di una serie di aspirazioni e di obiettivi che le istituzioni devono raggiungere.

D'altra parte, alcuni professionisti del settore respingono la nuova definizione di ICOM perché la ritengono troppo politica. Leggete il seguente commento postato nel blog di un'associazione museale:

«Per parafrasare Shakespeare, 'piena di strepito e fuffa, senza alcun significato’. Povero me, che roba insipida e condiscendente! Ma perché non usano un inglese semplice? E non sanno che i musei sono inclusivi, democratici e ‘polifonici’ (quanto è inclusiva questa parola per la massa di persone che visitano i musei) da decenni? Non è una novità, gente! Perché spendere enormi quantità di denaro per correggere qualcosa che non ha bisogno di essere corretto? Oh, e i musei, a mio parere, non dovrebbero MAI essere influenzati né manipolati da questioni politiche. Siamo aperti e democratici da decenni, e siamo un rifugio sicuro per tutti senza dover sentire la pressione della ‘giustizia sociale’, spesso decisamente paternalistica. Se sembrerà che i musei hanno un qualche tipo di agenda politica, allora diventeremo inaffidabili come un qualsiasi governo o personaggio politico. Dovremmo dire la verità così com'è, senza secondi fini. Ci occupiamo di fatti. Così facendo garantiamo al nostro pubblico il diritto di pensare, riflettere, impegnarsi e discutere senza essere moralisti e – cosa ancora più terribile – manipolatori». 15.08.2019, 13:24

I musei non sono inclusivi. Sono politici per loro stessa natura e hanno sempre avuto un programma. Per il modello su cui sono stati fondati, sono ancora oggi lo specchio della cultura dominante. Man mano che ampliano le loro priorità e iniziano a diversificare attivamente il personale, le collezioni e le mostre, sembreranno sempre più «politiche” a coloro che non vogliono allontanarsi dallo status quo. I musei si occupano di fatti, ma spesso propongono ed esaltano alcune letture a scapito di altre. Pensiamo ad esempio alla questione della sovrarappresentazione degli uccelli maschi nelle collezioni di ornitologia dei musei di storia naturale (Ashby, 2017). Ashby afferma: «I musei sono il prodotto della loro storia e delle società in cui sono inseriti. Non sono apolitici e non sono del tutto scientifici. Come tali, non rappresentano la realtà» (par. 3). Le narrazioni nei musei sono scritte da persone che non hanno necessariamente lo stesso background e la stessa storia dei soggetti di cui scrivono (Coxall, 2000), come è avvenuto per vicende e personaggi del passato esaminati da curatori bianchi (Hollander, 2019).

In definitiva, con alcune critiche alla definizione di ICOM posso essere d'accordo, mentre sono in forte disaccordo con i commenti reazionari e ignoranti (della storia!). La definizione di ICOM è appassionata e audace, e la rabbia espressa dalle persone è un segno di cambiamento. La definizione proposta riflette un approccio energico del tutto nuovo nei confronti dei musei, un orientamento che si muove attivamente per sfidare, spingere e riconoscere l'ampliamento delle priorità e delle parti interessate. Ma ho un consiglio.

Noi ci impegniamo

In definitiva, sento che la definizione ICOM 2019 urla a gran voce una cosa: dobbiamo cambiare! I musei discutono da decenni del mutamento demografico, eppure qui nel 2020 l'ago della bilancia si è spostato poco o niente in direzione di una migliore rappresentanza e diversità. Questa definizione sembra riconoscere finalmente che i musei devono cambiare, anche se bisogna trascinarli a forza. Cambiare o morire! Con questo spirito, propongo di creare una versione mista delle definizioni già presentate da ICOM, che sia al tempo stesso descrittiva e ambiziosa – e che sia ben chiara sulle differenze. Le mie aggiunte sono in grassetto qui sotto:

«Qualsiasi istituzione che conserva o espone, a scopo di studio, istruzione e diletto, materiali di interesse culturale e scientifico. Ci impegniamo a essere partecipativi e trasparenti, e lavoriamo in partnership attiva con e per le nostre diverse comunità al fine di raccogliere, preservare, ricercare, interpretare, esporre e migliorare la comprensione del mondo, con l'obiettivo di contribuire alla dignità umana e alla giustizia sociale, all'uguaglianza globale e al benessere planetario».

Inserire «qualsiasi istituzione... » crea una definizione molto più inclusiva, che riconosce anche i musei senza collezioni, come quelli virtuali. Ho anche reintrodotto la sezione («a scopo di studio... ») tratta dalla definizione ICOM del 2001.

Sostituire la parola «oggetti» con «materiali» è un tentativo di riconoscere i diversi tipi di collezioni esistenti. Tuttavia, i «materiali» potrebbero ancora non rappresentare con precisione le istituzioni che hanno collezioni viventi, come gli acquari.

Aggiungendo «ci impegniamo» si crea un obiettivo comune, mantenendo al tempo stesso frammenti delle vecchie definizioni. Inoltre in questo modo si rifletterà con maggiore esattezza la posizione attuale dei musei, che cercano di essere aperti e inclusivi, e al tempo stesso sostengono alcuni aspetti della supremazia bianca.

Aggiungere «nostro» invita a un legame più forte tra comunità e musei, indicando la necessità di abbattere il muro che esiste tra noi e loro. Ai musei appartengono comunità diverse, e i musei appartengono a comunità diverse.

Mantenere espressioni come «giustizia sociale» e «uguaglianza globale» è una dichiarazione in contrasto con chi sostiene il carattere apolitico degli spazi museali. L'importanza e l'ampia influenza dei musei rende imperativo il loro agire nelle arene della giustizia sociale e dell'uguaglianza globale. Per poter prosperare, i musei devono continuare a impegnarsi nel raggiungimento di questo obiettivo.

Questa definizione è la soluzione perfetta? No. Non credo che riusciremo mai a ottenere un consenso unanime e a soddisfare tutti. Forse dovremmo reindirizzare i nostri sforzi e smettere di cercare la definizione perfetta. Invece, una semplice dichiarazione di intenti può fungere da stella cometa e servire da punto di contatto tra tutti i tipi di istituzioni. Possiamo quindi concentrare i nostri sforzi sulle azioni, sulla creazione di spazi che servano e rappresentino davvero le nostre comunità. Dopotutto, non è forse questo l’obiettivo?

Autore : Brenda Salguero, coordinatrice del College Program au MESA, Department of Diversity and Engagement del University of California, membro de «2020 Knology – Curator: The Museum Journal Writing Scholars Workshops».

Il museo ha riaperto: e ora?

La maggior parte dei musei svizzeri ha ripreso l'attività a metà anno. Mentre le istituzioni museali sono alle prese con le misure di protezione e di igiene da un lato e con il calo dei visitatori e del fatturato dall’altro, alcuni vedono la pandemia anche come un'opportunità per il futuro e vi dedicano mostre a tema, arricchendo le loro collezioni di testimonianze del presente: l’epoca del Covid 19.

I musei hanno riaperto i battenti a metà giugno, ma niente è più come prima. Il lockdown ha segnato una cesura che riguarda non solo loro, ma tutte le istituzioni culturali. Locali notturni, teatri di prosa e teatri lirici: tutti sono chiamati ad affrontare importanti sfide finanziarie e organizzative. In giugno e settembre, L'Œil du Public ha prodotto uno studio relativo all’impatto delle misure anti-Covid 19 sul paesaggio culturale. D’intesa con la Conferenza cantonale della cultura, sono stati condotti due sondaggi rappresentativi per determinare l'utilizzo dei servizi online durante l’isolamento e la successiva ripresa delle visite culturali.

«La cultura, spina dorsale della Svizzera»

Un terzo degli intervistati ha dichiarato di aver sentito la mancanza di mostre e musei durante il lockdown. All'inizio di giugno, tuttavia, dopo la riapertura, solo un quarto di loro immaginava di tornare a frequentare musei e istituzioni culturali come se nulla fosse accaduto. Al momento del secondo sondaggio, all'inizio di settembre, questa percentuale era addirittura scesa al di sotto del 20 per cento; il pubblico evitava soprattutto i luoghi con spazi piccoli e chiusi. A giugno, gran parte degli intervistati dichiarava che avrebbe atteso dai quattro ai cinque mesi prima di tornare a visitare un’istituzione culturale. A settembre, la percentuale di persone che non intendevano riprendere le visite fino al 2021 era aumentata in modo significativo, passando dal 22 al 42 per cento. Nella Svizzera tedesca la prudenza sembrava aumentare con l'età, mentre nella Svizzera romanda gli intervistati più anziani erano meno disposti dei giovani a limitare le loro attività culturali.

Secondo Eva-Maria Würth, docente di arte e mediazione alla Hochschule Luzern ed ex consigliera cantonale, l'isolamento ha portato a una sensibilizzazione verso il ruolo delle istituzioni culturali: «Ci si è resi conto dell’importanza della cultura, vera e propria spina dorsale della Svizzera. Le misure adottate in seguito alla pandemia mirano anche a preservare la diversità culturale».

Nel 2017 Würth ha fondato l'associazione Pro Kultur Kanton Zürich, impegnata nella promozione dell'arte e della cultura nel Cantone di Zurigo; dal 2018 è co-presidente della Commissione cultura del Cantone di Zurigo. Ai suoi occhi la situazione è chiara: «La questione che ci si pone è: quali sono oggi i fattori essenziali per stimolare la creatività delle persone e per far sì che abbiano uno stile di vita soddisfacente in una società liberale e democratica?».

In seguito alla pandemia il dibattito sul valore sociale della cultura e dell'arte ha acquisito una nuova urgenza per cui, secondo Würth, occorre innanzitutto affrontare il problema delle condizioni precarie in cui nascono le produzioni culturali: «In linea generale, non esiste più la figura di un unico capofamiglia occupato al 100 per cento. Più di un terzo di tutti gli occupati in Svizzera hanno condizioni di lavoro cosiddette atipiche: lavori multipli, temporanei, a tempo parziale, ecc. Nel settore culturale in particolare, che conta numerosi freelance, il problema della precarietà è molto diffuso. Ciò richiede indagini e opportuni adeguamenti del sistema di previdenza sociale per migliorare la sicurezza sociale degli interessati».

Le mostre: un‘inattesa attualità 

I musei hanno reagito alla riapertura in modi diversi: mentre alcuni hanno inaugurato mostre che avrebbero dovuto essere organizzate prima o durante il lockdown, altri hanno prolungato la durata delle esposizioni già in essere. E questo perché, da un lato, per molto tempo è stato difficile riportare oggetti e immagini nei loro luoghi di appartenenza, dall'altro, alcuni temi hanno acquisito una nuova attualità. La Fondation Beyeler di Riehen, ad esempio, ha prorogato due volte la chiusura della mostra su Edward Hopper per dar modo al più ampio numero di visitatori possibile di ammirare le opere del pittore statunitense, che si adattano in modo particolare al tema della solitudine e della malinconia nell'anno pandemico 2020. Il Museo Burghalde di Lenzburg ha avuto un’esperienza simile con l’esposizione “Saubere Sache”, dedicata ai 133 anni di storia di una fabbrica di sapone. Questa mostra sul tema dell’igiene, pianificata molto prima del diffondersi del Coronavirus, è diventata improvvisamente di grande attualità e ha suscitato l’interesse del pubblico.

Anche se pianificare e realizzare i futuri eventi espositivi non è certo cosa facile, alcuni musei hanno immediatamente reagito alla pandemia. Lo Stadtmuseum Aarau, ad esempio, ha realizzato nel giro di poche settimane una mostra tematica con fotografie delle strade vuote, cartoline e poster che recavano domande quali: è questa la "nuova normalità"? I visitatori avevano a disposizione una macchina per scrivere le loro esperienze e osservazioni e appenderle nello spazio espositivo. L’Historisches Museum Thurgau, dal canto suo, è attualmente impegnato nella raccolta di testimonianze relative alla pandemia, provenienti dal Cantone. Il concetto di collezione adottato dal museo prevede l’inclusione di oggetti contemporanei nel fondo esistente e per far questo chiede anche l'aiuto della popolazione locale. Il Musée gruérien di Bulle, invece, si concentra sulla creatività con cui i giovani affrontano la pandemia. Poco dopo la chiusura della scuola elementare, il giornale "La Gruyère" ha invitato i bambini tra i 3 e i 15 anni a disegnare le loro impressioni di vita quotidiana. Sommerso dall’invio di oltre 500 disegni, il giornale si è rivolto al Musée gruérien. Così, sotto il titolo "Tout ira bien", queste preziose testimonianze sono state esposte nella primavera del 2020 e saranno archiviate per il futuro.

Organizzarsi per il futuro

Qual è il futuro dell'offerta culturale nello spazio virtuale e analogico? A differenza dei musei, le arti dello spettacolo in particolare incontrano molte difficoltà, visto il gran numero di componenti del cast, della troupe e degli spettatori che riempiono le grandi sale dei teatri. Istituzioni come lo Schauspielhaus di Zurigo e il Grand Théâtre de Genève hanno ritardato gli eventi previsti per la stagione 2020/2021 riprendendola poi con notevoli restrizioni, come la limitazione dei posti a sedere e della frequenza degli spettacoli. Durante il lockdown, musei e sedi espositive hanno organizzato visite guidate e laboratori in livestream, che ora vengono riproposti in forma analogica a piccoli gruppi di visitatori, cui è spesso richiesto di prenotarsi in anticipo.

Tre quarti dei partecipanti al sondaggio condotto in giugno dall'Œil du Public hanno dichiarato di aver seguito attività culturali online. Poco meno del 20% ha guardato uno spettacolo – teatrale, musicale o lirico – online durante il lockdown. A settembre, però, solo un terzo circa degli intervistati dichiarava che l’avrebbe fatto anche in futuro, mentre due terzi sentivano «nessun desiderio o scarsa voglia» di farlo. L’elaborazione di offerte online che siano in grado di suscitare l'interesse delle persone in modo duraturo è una sfida aperta.

Il futuro delle industrie culturali è incerto. Tuttavia, questo momento può essere l'occasione per ripensare, mettere in discussione e ridefinire il settore delle mostre e della mediazione, e diventare una fonte di apprendimento e di ispirazione per gli operatori culturali in Svizzera. Secondo Eva-Maria Würth il primo passo nella giusta direzione sta in un maggiore impegno politico e in un’organizzazione potenziata. «Se vi organizzate, le vostre istanze saranno meglio rappresentate». In pratica, ciò significa diventare membro di un'associazione o di un’organizzazione professionale. Würth ne è convinta: «È semplice: se state insieme, agite insieme, parlate insieme e non comunicate come entità singole, otterrete di più!».

Autore : Lena Seefried, curatrice freelance, autrice, artista

I musei statunitensi cercano di resistere alla pandemia

Il coronavirus costringe le istituzioni museali statunitensi ad adottare misure inedite. Dal momento che è in gioco la sopravvivenza stessa dei musei, per i prossimi due anni è stata autorizzata l’alienazione di parte delle collezioni.

Se quasi esattamente un anno fa gli echi del fermento e dell’eccitazione dall’altra parte del Pond, e più precisamente a New York, giungevano fino alle sponde europee generando forse perfino una certa invidia, oggi le cose hanno un aspetto decisamente diverso, e l’eccitazione si è trasformata in preoccupazione, in un concern.

Ma andiamo per ordine. Nell’ottobre del 2019 a Manhattan veniva inaugurata la nuova ala del Museum of Modern Art, MoMA, la mecca per i cultori del design di tutto il mondo. Nella sua espansione faraonica, costata 450 milioni di dollari e che ha visto in scena le archistar Jean Nouvel e Diller Scofidio + Renfro, affiancati da Ganser, il MoMA si era fagocitato perfino il vicino Folk Art Museum, demolito per lasciare posto al complesso 53W53 di 82 piani, di cui i primi tre dedicati a sale espositive (per un totale di circa 4500 nuovi mq), il resto ad appartamenti privati (di un valore variabile tra i 6 e i 60 milioni di dollari).

La ristrutturazione, durata quattro mesi durante i quali il museo è rimasto chiuso, intendeva essere trasversale, toccando non solamente gli spazi espositivi e creando un vero e proprio complesso residenziale sopra a quello museale, ma andando a coinvolgere anche lo stesso concetto espositivo. Non più un percorso cronologico attraverso la storia dell’arte recente e quella in fieri contemporanea, bensì una serie di possibilità nate dalla decisione dei curatori di lasciare alla visitatrice o al visitatore la scelta di come muoversi all’interno degli spazi espositivi, il tutto nel solco di un’accezione fluida dell’arte, in perfetta sintonia con i tempi che viviamo e con le nostre filosofie di vita (secondo il concetto che Zygmunt Bauman ha definito «liquido»). Opere appartenenti a contesti diversi si incontrano così davanti agli occhi della spettatrice e dello spettatore in un gioco di idiosincrasia che crea un nuovo storytelling, includendo l’oggetto esposto in una sorta di caleidoscopio della realtà, nel segno della libertà più assoluta. Come dichiara il MoMA stesso, nelle pagine web che annunciano il «Fall Reveal», l’esposizione autunnale che si inaugurerà in novembre sarà allestita nel segno di «Recognizing that there is no single or complete history of modern and contemporary art» («Riconoscere come non vi sia un’unica e completa storia dell’arte moderna e contemporanea», NdT).

Prima di tutto, sopravvivere 

Il MoMA di New York, nato nel 1939 e da sempre sorta di «corpo estraneo» dal sapore futuristico nel cuore di Midtown Manhattan, per le sue scelte coraggiose e per il magnetismo che esercita, in un mix di celebrazione dell’arte e un marketing ultrasapiente (non è un caso se per l’indotto museale si fa grande affidamento sullo shop), è sempre stato un punto di riferimento per il mondo dell’arte, che lo considera un opinion maker. Volenti o nolenti, la sua realtà è un passo avanti, generando l’entusiasmo dei più (le voci critiche si sono levate per la demolizione del Folk Art Museum e per il rischio che un allestimento museale così libero possa portare a confusione) e facendo schizzare i visitatori a 3 milioni all’anno. Grazie agli spazi rinnovati, ora in parte modulari per una maggiore rotazione delle opere della collezione, alla mancanza di una struttura definita e definitiva, all’assenza di percorsi obbligati, ai neonati dialoghi fra opere e periodi singoli, il MoMA ottempera in ogni sua cellula alla definizione data a «Museo» da ICOM (International Council of Museums) a Kyoto nel 2019: «locali democratizzanti, inclusivi e polifonici per un dialogo critico».

Attraverso l’espansione il MoMA desiderava raggiungere i 3,5 milioni di visitatori all’anno, ma è di aprile la notizia secondo cui l’istituzione newyorchese si è vista costretta a licenziare con effetto immediato ben 85 operatori del dipartimento didattico. Che la crisi non sia solo di superficie lo si evince da una frase contenuta nell’e-mail in cui si metteva fine al rapporto di lavoro: «passeranno mesi, se non anni, prima che possiamo tornare al budget e ai livelli operativi necessari per richiedere servizi didattici». Ci si porta avanti mettendo in conto tempi lunghi e incerti, in cui il concetto di progettualità museale passerà definitivamente in secondo piano, superato da quello di resistenza.

Crisi generalizzata

Ma il MoMA non è solo, in questa situazione di crisi, se pensiamo che il Whitney Museum of American Art ha licenziato 76 dipendenti e il Massachusetts Museum of Contemporary Art 120 (su un totale di 165). La chiusura forzata dei musei causa Covid-19, per quanto abbia portato a ventate di creatività, come hanno dimostrato le encomiabili iniziative online nate qua e là al fine di non perdere il contatto con l’utenza (v. Rivista svizzera dei musei n. 14), si è abbattuta come una mannaia su una realtà già fragile di partenza.

Ne abbiamo parlato telefonicamente con Tiffany Gilbert, responsabile della Conference Education all’American Alliance of Museums. Come molte colleghe e colleghi, anche Gilbert lavora da casa, barcamenandosi tra le esigenze famigliari e quelle di un settore che ovviamente desidera ripartire, ma non può muoversi in sicurezza, poiché dipende dall’andamento del numero di contagi da Covid-19. Gilbert ci racconta di come gli animi siano mossi da sentimenti contrastanti, poiché a dipendenza di location e assetto finanziario, vi saranno musei che ce la faranno, e altri invece che si vedranno costretti a chiudere definitivamente i battenti. Alcune istituzioni pensano già a una possibile ripartenza, basandosi sull’assunto «We are where we are» (Siamo dove siamo, NdT), e dunque sono impegnate a reimmaginarsi e a reinventarsi, studiando quali siano i canali migliori per supportare la comunità museale e per non perdere il contatto con l’utenza. Ma, al di là di progettualità, slanci e voglia di rimettersi in gioco, tutto dipenderà dall’andamento dei contagi.

Misure straordinarie 

Il Covid si è insinuato ovunque e con un’incisività tale da portare sempre più musei degli Stati Uniti a considerare, quando non addirittura ad annunciare, una deaccession, la controversa vendita all’asta di opere d’arte appartenenti alla propria collezione. L’Association of Art Museum Directors (AAMD) tollerava (sebbene senza alcuno strumento giuridico) la vendita di opere da parte dei musei unicamente se questa era finalizzata all’acquisizione di nuove opere e a una conseguente diversificazione e attualizzazione di quanto esposto. È quello che ad esempio ha fatto il Baltimore Museum of Art, che nel 2018 ha deciso di vendere sette opere di artisti postbellici di sesso maschile e caucasici. I proventi della vendita sarebbero serviti per acquistare opere di artiste donne e afroamericani/e. Un anno dopo è la volta del San Francisco Museum of Modern Art, che vende un Rothko per 50 milioni di dollari.

Nell’aprile di quest’anno però, a poco più di un mese dall’inizio del lockdown, negli USA l’AAMD prende una decisione straordinaria e adatta il codice standard alla situazione di emergenza: per due anni i musei potranno vendere opere provenienti dalla propria collezione se ciò sarà finalizzato al mantenimento della stessa. Una decisione presa sulla scia del desiderio di salvare il salvabile, di limitare un’emorragia iniziata ben prima del Covid, ma da quest’ultimo accelerata.

Cercano di tamponare e intervenire anche i mecenati privati, consapevoli dell’indotto generato dalla rete museale e dell’importanza, a tutti i livelli della società, di un costante dialogo fra la gente e le arti, istituendo fondi di sostegno. Il Paul Getty Trust, ad esempio, ha attivato un fondo di dieci milioni di dollari a sostegno delle arti visive, altri dieci milioni di dollari sono invece stati messi a disposizione dall’Andrew W. Mellow Fund.

Il 2020 non è ancora finito, e all’inizio di ottobre i casi sono nuovamente in crescita. Per una volta, forse la prima, il mondo tutto è accomunato da un’incertezza di cui non si conoscono i tempi né le ripercussioni. Non ci resta che aspettare, immaginare, sperare.

Autore : Simona Sala, giornalista, da oltre 20 anni responsabile del settore culturale di «Azione», operatrice culturale, editrice e traduttrice

Cronaca 2020

La cronaca offre una panoramica completa e variegata dei nuovi sviluppi e dei cambiamenti nel panorama museale svizzero.

Tante feste per cominciare: la Fondazione Wildnispark Zürich celebra il decimo anniversario del Sihlwald, «Parco naturale periurbano d'importanza nazionale», con la mostra speciale «WaldWildnisWir - Faszination Naturwald» allestita nel Museo naturale.

Il Museo in erba, destinato a un pubblico di famiglie con bambini, festeggia il suo ventesimo anniversario con la mostra interattiva «Calder, che circo!», realizzata in collaborazione con il Centre Pompidou di Parigi. Anche il mudac - Musée de design et d'arts appliqués contemporains celebra i venti anni dalla sua fondazione con altrettanti appuntamenti che avranno luogo dall'autunno 2020 fino al giugno 2022, quando si trasferirà negli spazi del «quartiere dei musei» PLATEFORME 10. Il Paul Gugelmann Museum festeggia il suo venticinquesimo compleanno con la mostra speciale dedicata alle opere di Gugelman provenienti da collezioni private. In occasione del venticinquesimo anniversario del cambio di Cantone della Laufental, il Museum Laufental presenta una nuova mostra permanente sul tema. Electrobroc celebra quest'anno il suo trentesimo anniversario presentando un nuovo programma di conferenze e progetti didattici. Quest'estate, i costumi, le maschere e gli oggetti di scena del Theatermuseum Zürich hanno costituito il fulcro della mostra «Theater Leben – 50 Jahre Theater Stok» organizzata per celebrarne l’anniversario presso l'Archivio comunale di Zurigo. Per festeggiare i 300 anni dalla sua costruzione, il castello di Jegenstorf ha allestito la mostra speciale «300 Jahre – 30 Objekte. Schätze und Trouvaillen der Sammlung»; la seconda mostra in programma è stata rinviata al 2021. Anche gli eventi in programma per il trentesimo anniversario del Kunsthaus Zug an der Dorfstrasse, che prevedeva rassegne su Richard Gerstl, Christine e Peter Kamm, nonché una festa finale in estate, non avrà luogo prima del prossimo anno.

Michaela Oberhofer e Nanina Guyer, curatrici della mostra «Fiktion Kongo – Kunstwelten zwischen Geschichte und Gegenwart» al Museo Rietberg, e Raphaël Bouvier, curatore di «Der junge Picasso. Blaue und Rosa Periode» alla Fondation Beyeler, sono stati candidati al premio della rivista ART. Diversi musei svizzeri sono stati candidati al premio «Museo europeo dell'anno»: il Landesmuseum Zürich, il MoMö Schweizer Mosterei- und Brennereimuseum, l‘Hexenmuseum Schweiz, il Musée Historique Lausanne, il Museum Altes Zeughaus di Soletta, lo Stapferhaus e il Museum Burghalde di Lenzburg e il Muzeum Susch.

Negli ultimi tempi molti musei svizzeri sono stati oggetto di ristrutturazioni, ampliamenti e trasformazioni, e in certi casi hanno trovato nuove sedi. Dalla fine del 2019 la collezione dell’Historischen Museums Obwalden è ospitata nella nuova location di Kägiswil. Sempre alla fine dello scorso anno ha aperto i battenti la Haus der Museen di Olten: da allora, natura, storia e archeologia si trovano sotto lo stesso tetto. Dall'inizio del 2020 il Naturhistorische Museum Bern dà il buon esempio con i suoi «WC per tutti»: spazi non-categorizzati e aperti a donne, uomini, trans, inter-gender e persone non-binarie. Dopo un ampio lavoro di rinnovamento, dal mese di febbraio le vetrine e i minerali della mostra permanente di focusTerra – ETH Zürich risplendono di luce nuova. Dopo quindici anni di lavori, il castello di Chillon ha inaugurato in primavera il nuovo allestimento dei suoi spazi esterni con un'area ricezione più accogliente, un percorso pedonale e il nuovo Caffè Byron. Dopo l’incendio del 2015 e la successiva ricostruzione, il Bergbaumuseum des Bergwerks Käpfnach si presenta da questa primavera in un nuovo allestimento che esalta il fascino della miniera attirando visitatori di ogni età. Il Bergbaumuseum Graubünden Schmelzboden a Davos ha installato un montacarichi basato su modelli storici. Dopo diversi anni di ristrutturazione, il «castello per tutti» di Burgdorf (Schloss Burgdorf) ha aperto le sue porte al pubblico, offrendo oltre ai nuovi spazi museali, anche un ristorante e un ostello della gioventù. Da quest'estate il sito web della chiesa abbaziale di Payerne offre un percorso di scoperta virtuale con venti tappe audioguidate. Nel Natur- und Tierpark Goldau sono state inaugurate le postazioni per l’osservazione di api e coleotteri sul nuovo sentiero degli insetti ed è stato installato un nuovo sistema per i tassi. Sempre durante l’estate, dopo ben quindici anni, sono stati completati i lavori al Landesmuseum Zürich. Lo Stadtmuseum Brugg, chiuso per quasi un anno per via di lavori di ristrutturazione, ha riaperto i battenti alla fine di agosto con una nuova mostra permanente. La vecchia rimessa dell’Heimatmuseums Davos è stata ampliata e oggi comprende una sala per mostre ed eventi. Nel Gletschergarten Luzern, la storica Schweizerhaus, risalente al 1874, è stata splendidamente restaurata; il fulcro della rinnovata esposizione permanente al piano terra è la storia della famiglia del fondatore, Amrein-Troller. Il Telefonmuseum TELEPHONICA di Islikon ha riaperto i battenti in autunno, dopo un ampio ammodernamento dell'edificio. La Fondation Toms Pauli ha trasferito i suoi uffici amministrativi e le collezioni negli spazi di PLATEFORME 10. Dopo anni di restauro, Militär- und Festungsmuseum Full-Reuenthal apre al pubblico altri tre siti nel Canton Argovia: la Festung Rein, il posto di comando della Grenzbrigade 5 a Wallbach e la grande postazione di osservazione a Vorderrein. Dopo tre anni di restauro, il MASI Lugano – Museo d'arte della Svizzera italiana ha aperto la sua seconda sede nello storico Palazzo Reali. Di recente inaugurazione, il Musée Atelier Audemars Piguet offre al pubblico una panoramica della storia dell'orologeria nella Vallée de Joux e di quella del celebre laboratorio. Il Gutenbergmuseum offre corsi di serigrafia, marmorizzazione, fabbricazione della carta e origami. Alla fine di agosto è stato inaugurato a Coira il Domschatzmuseum che, oltre al tesoro della cattedrale, espone un ciclo di rappresentazioni della morte risalenti al 1543 e provenienti dal castello episcopale di Coira. Alla fine del 2020, a Zollikofen presso Berna verrà inaugurato lo Schweizerische Blindenmuseum «anders sehen» (vedere diversamente). Il Museo del turismo della regione della Jungfrau, a Interlaken-Unterseen, è stato ribattezzato TOURISMUSEUM. A proposito di cambiamenti: dal 2020 il castello di Jegenstorf è la sede ufficiale dei matrimoni civili del circondario Berna-Altipiano svizzero.

Nei musei svizzeri ci sono stati anche numerosi passaggi di consegne. Nell'ottobre dello scorso anno il Lindwurm Museum, la residenza per artisti di Chretzeturm e il futuro centro culturale della Jakob und Emma Windler-Stiftung a Stein am Rhein sono passati sotto la guida della nuova direttrice culturale Helga Sandl e della sua vice Verena Nussbaumer. Nel novembre 2019 Lena Friedli ha assunto la direzione del Forum Schlossplatz di Aarau sostituendo Nadine Schneider, che a sua volta, insieme a Kaba Rössler (già allo Stadtmuseum Aarau), è co-direttrice dell’Henry-Dunant-Museums Heiden dall'ottobre 2019. Infine, Marc Griesshammer è responsabile dello Stadtmuseum Aarau dal novembre 2019. In seguito all’uscita di scena del curatore Dominik Sieber, lo Stadtmuseum Brugg sta cercando un nuovo direttore. All'inizio del 2020 Christian Kaufmann-Issler ha assunto la presidenza dell'Associazione Heimatmuseum Davos. Dall'inizio dell'anno Lukas Germann è il nuovo direttore e curatore del Museum zur Farb di Stäfa. Il MASI Lugano ha dato il benvenuto a Stefan Hottinger-Behmer come nuovo responsabile del dipartimento Comunicazione, marketing & fundraising. Nel Typorama di Bischofszell, Percy Penzel ha preso il posto di Paul Wirth. Da febbraio, Almut Grüner è direttrice dei Musei cantonali di Lucerna. A marzo anche il centro culturale e artistico Ferme-Asile di Sion ha trovato una nuova direttrice nella persona di Anne Jean-Richard Largey. Sempre da marzo, la storica dell'arte Lucia Angela Cavegn è direttrice del Museum kunst + wissen di Diessenhofen. Dal mese di giugno la Maison du Dessin de Presse è diretta da Stéphanie Reinhard. Nello stesso mese Birgit Langenegger e Martina Obrecht hanno assunto la co-direzione del Museum Appenzell, dopo il pensionamento di Roland Inauen. A giugno Alfred Heer, che ha capeggiato l'associazione Zuger Depot Technikgeschichte fin dalla sua fondazione, ne ha ceduto la direzione a Thomas Lötscher. Da luglio la storica dell'arte Katharina Ammann è responsabile dell’Aargauer Kunsthaus, in sostituzione di Madeleine Schuppli. In agosto le attività operative di DIORAMA Einsiedeln sono state rilevate dalla Fondazione DIORAMA Bethlehem. In agosto Christian Hunziker ha assunto la direzione del Seemuseum di Kreuzlingen succedendo a Ursula Steinhauser. A settembre, lo storico Beat Zimmermann, collaboratore dal 2015, è stato nominato responsabile degli «Archivs Ortsgeschichte AO» der Museen Maur. Cambio della guardia anche al Musée du fer et du chemin de fer di Vallorbe: il nuovo direttore e curatore è Kilian Rustichelli, che succede a Simon Leresche. A settembre è cambiata anche la direzione dello Schulmuseum Mühlebach ad Amriswil: Frauke Dammert ha assunto la carica di nuovo direttore, sostituendo Hans Weber, per molti anni direttore del museo, che rimane presidente della fondazione omonima. Nel consiglio di fondazione del Museum ENTER l'imprenditore Adrian Flury ha sostituitoTheodor Klossner. La Fondation Martial Ançay, che gestisce il Musée du savoir-faire alpin di Fully, ha nominato Pierre-Maurice Roccaro nuovo presidente e Camille Ançay vicepresidente. In ottobre, al direttore di Naturama Aargau, Daniel Bärtschi, è subentrato un comitato direttivo composto da Johanna Häckermann (presidenza), Denis Vallan e Florian Helfrich. Da metà ottobre Marc Zehntner ha sostituito Marc Fehlmann alla direzione dell’Historisches Museum Basel. Rainier d'Haussonville succede ad Amélie Cherbuin alla presidenza della Fondation Othenin d'Haussonville pour le rayonnement de l'esprit de Coppet. Inoltre, Simon d'Haussonville, rappresentante della famiglia proprietaria del castello, si unisce alla direzione della fondazione. A novembre la storica Mariska Beirne ha assunto la direzione del Weinbaumuseum am Zürichsee. Infine, Marc Philip Seidel è il nuovo direttore del Burghalde Museum.